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lunedì 19 marzo 2012

Lo scriba dotto nel regno di Dio


 La preghiera ci purifica, la lettura ci istruisce. Usiamo dell’una e dell’altra, se è possibile, perché tutte e due sono cose buone. Se ciò tuttavia non fosse possibile, è meglio pregare che leggere. 
Chi vuol stare sempre con Dio, deve pregare e leggere continuamente. Quando preghiamo, parliamo con Dio stesso; quando invece leggiamo è Dio che parla a noi. 
Ogni progresso viene dalla lettura e dalla meditazione. Con la lettura impariamo quello che non sappiamo, con la meditazione noi conserviamo nella memoria ciò che abbiamo imparato. 
Doppio è il vantaggio che ricaviamo dalla lettura della sacra Scrittura. Essa illumina il nostro intelletto, e conduce l’uomo all’amore di Dio, dopo di averlo strappato alle vanità del mondo. 
Doppio è anche il fine che dobbiamo prefiggerci nella lettura: innanzi tutto cercar di capire il senso della Scrittura, in secondo luogo adoperarci per proclamarla con la maggiore dignità ed efficacia possibile. Chi legge, infatti, cerca prima di tutto di capire quello che legge. Quindi procura di esprimere nel modo più conveniente quello che ha imparato. 
Il bravo lettore non si preoccupa tanto di conoscere quello che legge, quanto piuttosto di metterlo in pratica. C’è minor pena nell’ignorare del tutto un ideale che, conosciutolo, lasciarlo inattuato. Come infatti col leggere dimostriamo il nostro desiderio di conoscere, così dopo aver conosciuto dobbiamo sentire il dovere di mettere in pratica le cose buone che abbiamo imparato. 
Nessuno può penetrare il senso della sacra Scrittura, se non la legge con assiduità, secondo quanto sta scritto: Amala e ti porterà in alto; quando l’avrai abbracciata, essa sarà la tua gloria (cfr. Pro 4, 8). 
Quanto più si è assidui nel leggere la Scrittura, tanto più ricca è l’intelligenza che se ne ha, come avviene per la terra che, quanto più si coltiva, tanto più produce. 
Vi sono alcuni che hanno una buona intelligenza, ma trascurano la lettura dei testi sacri, sicché con la loro negligenza dimostrano di disprezzare quello che potrebbero imparare con la lettura. Altri invece avrebbero desiderio di sapere, ma sono impediti dalla loro impreparazione. Questi però con una intelligente e assidua lettura riescono a sapere ciò che ignorano altri più intelligenti, ma pigri e indifferenti. 
Come chi è tardo di intelletto riesce col suo impegno a raccogliere il frutto della sua diligenza nello studio, così chi trascura il dono dell’intelletto che Dio gli ha dato, si rende reo di condanna, perché disprezza un dono ricevuto e lo lascia infruttuoso. 
Se la dottrina non è sostenuta dalla grazia non giunge sino al cuore, anche se entra nelle orecchie. Fa strepito al di fuori, ma nulla giova alla nostra anima. Allora soltanto la parola di Dio scende dalle orecchie al fondo del cuore, quando interviene la grazia, opera intimamente e porta alla comprensione. 

Dai “Libri delle sentenze” di sant’Isidoro, vescovo