Chi vuol stare sempre con Dio, deve pregare e leggere continuamente.
Quando preghiamo, parliamo con Dio stesso; quando invece leggiamo è Dio che
parla a noi.
Ogni progresso viene dalla lettura e dalla meditazione. Con
la lettura impariamo quello che non sappiamo, con la meditazione noi
conserviamo nella memoria ciò che abbiamo imparato.
Doppio è il vantaggio che ricaviamo dalla lettura della
sacra Scrittura. Essa illumina il nostro intelletto, e conduce l’uomo all’amore
di Dio, dopo di averlo strappato alle vanità del mondo.
Doppio è anche il fine che dobbiamo prefiggerci nella
lettura: innanzi tutto cercar di capire il senso della Scrittura, in secondo
luogo adoperarci per proclamarla con la maggiore dignità ed efficacia
possibile. Chi legge, infatti, cerca prima di tutto di capire quello che legge.
Quindi procura di esprimere nel modo più conveniente quello che ha imparato.
Il bravo lettore non si preoccupa tanto di conoscere quello
che legge, quanto piuttosto di metterlo in pratica. C’è minor pena
nell’ignorare del tutto un ideale che, conosciutolo, lasciarlo inattuato. Come
infatti col leggere dimostriamo il nostro desiderio di conoscere, così dopo
aver conosciuto dobbiamo sentire il dovere di mettere in pratica le cose buone
che abbiamo imparato.
Nessuno può penetrare il senso della sacra Scrittura, se non
la legge con assiduità, secondo quanto sta scritto: Amala e ti porterà in alto;
quando l’avrai abbracciata, essa sarà la tua gloria (cfr. Pro 4, 8).
Quanto più si è assidui nel leggere la Scrittura, tanto più
ricca è l’intelligenza che se ne ha, come avviene per la terra che, quanto più
si coltiva, tanto più produce.
Vi sono alcuni che hanno una buona intelligenza, ma
trascurano la lettura dei testi sacri, sicché con la loro negligenza dimostrano
di disprezzare quello che potrebbero imparare con la lettura. Altri invece
avrebbero desiderio di sapere, ma sono impediti dalla loro impreparazione.
Questi però con una intelligente e assidua lettura riescono a sapere ciò che
ignorano altri più intelligenti, ma pigri e indifferenti.
Come chi è tardo di intelletto riesce col suo impegno a
raccogliere il frutto della sua diligenza nello studio, così chi trascura il
dono dell’intelletto che Dio gli ha dato, si rende reo di condanna, perché
disprezza un dono ricevuto e lo lascia infruttuoso.
Se la dottrina non è sostenuta dalla grazia non giunge sino
al cuore, anche se entra nelle orecchie. Fa strepito al di fuori, ma nulla
giova alla nostra anima. Allora soltanto la parola di Dio scende dalle orecchie
al fondo del cuore, quando interviene la grazia, opera intimamente e porta alla
comprensione.
Dai “Libri delle sentenze” di sant’Isidoro, vescovo