Questo disse una prima, una seconda, una terza volta. Prima
veniva richiesto l'amore e poi imposto l'onere, perché dove maggiore é l'amore,
minore é il peso della fatica. «Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha
dato?» (Sal 115, 12). Se dico di offrire al Signore il ministero di pascere le
sue pecorelle, dico la verità. Lo faccio, infatti, «non io, ma la grazia di Dio
che é con me» (1 Cor 15, 10). E allora come posso credere di essere uno che dà il
contraccambio, se in tutto sono prevenuto da lui? Se amiamo disinteressamente e
pascoliamo il gregge gratuitamente come possiamo esigere la ricompensa? Non
sembrano inconciliabili le due cose: amore disinteressato e servizio gratuito
con lo stipendio?
E tuttavia si conciliano. Infatti non si potrebbe esigere la
ricompensa da colui che viene amato disinteressatamente, se, chi é amato, non
costituisse lui stesso la ricompensa dell'amore. Se, infatti, in cambio del
dono di averci redenti, gli rendiamo il servizio di pascolare le sue pecorelle,
qual contraccambio potremmo ancora offrirgli per il fatto che ci ha costituiti
pastori? Effettivamente cattivi pastori, che Dio non voglia, lo siamo per
nostra colpa, mentre buoni pastori, che Dio lo voglia, non possiamo esserlo se
non per sua grazia. Perciò, miei fratelli: «Vi esortiamo a non accogliere
invano la grazia di Dio» (2 Cor 6, 1). Rendete fruttuoso il nostro ministero.
«Voi siete il campo di Dio» (1 Cor 3, 9). Dall'esterno ricevete chi pianta e
chi irriga, dall'interno, invece, colui che fa crescere, Aiutateci con la
vostra preghiera e la vostra obbedienza, perché troviamo la nostra gioia non
tanto nell'essere vostri capi, quanto nell'esservi utili servitori.
(Disc. 340,
1; PL 38, 1483-1484).
Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo
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