Il linguaggio della
preghiera non è fatto soltanto di parole, non è fatto soltanto di silenzio, non è fatto
soltanto di spirito e di cuore; è fatto anche di corpo,
di sensi, di gesti.
E se la disposizione contemplativa è soprattutto
un’attitudine di attesa di essa comporta anche un ascolto del corpo e della
molteplicità dei suoi messaggi : un corpo che dobbiamo imparare a sentirci
addosso, con la pelle calda, i suoi odori, le sue antenne protese, i suoi pori
di accoglienza: messaggi che vanno dai gesti ai suoni, ai contatti, agli odori
in ci sono impegnati tutti i sensi.
Penso ad esempio, ai messaggi olfattivi,
così carichi e densi di richiami animali e sessuali. Le bestie comunicano attraverso
gli odori; ma anche gli sono
sensibili a questo alfabeto del mondo e
del corpo: dal profumo fresco e innocente d’erba nuova all’aroma austero delle
piante all’odore forte, denso e carnale delle more mature e della pelle sudata.
Anche del sudore
abbiamo vergogna: lo serbiamo soltanto alla retorica del “sudor della fronte” e
per il resto il nominarlo non è secondo le buone maniere. Perciò abbiamo
inventato il termine “traspirazione”, più elegante e pulito. E forse il nostro
modo innaturale di vivere favorisce in
effetti proliferazioni batteriche
con odori sgradevoli e malsani; ma a lavorare a torso nudo, sotto al sole, un
sudore sano gronda dalla pelle calda e aereata, esaltando l’odore vero dell’uomo.
Anche questo ci ha dato ombra e abbiamo
inventato i deodoranti in cui qualcuno ha visto un tentativo di
neutralizzazione sessuale. E in effetti – al di fuori di casi di particolare
sgradevolezza- spesso il deodorante cancella l’odore dell’uomo, neutralizzando
messaggi vitali. Gli animali si riconoscono all’odore. Anche le madri di campagna, un po’ meno igieniste e deodorate, riconoscono i figli
dall’odore, come Abramo. L’odore è un alfabeto personale e personalizzante.
Oggi la personalizzazione la si cerca attraverso il profumo artefatto. Una persona
“di classe” ha il suo profumo personale, e sta bene. Ma, e prima di ogni altra
essenza sovrapposta, ciascuno ha un suo personalissimo odore legato al suo
corpo, alla sua pelle, ai suoi ormoni, forse alla sua psicologia. In certe
antiche zone orientali, quando un sovrano voleva una nuova concubina, dalle
province del suo regno si faceva venire sei fanciulle e si facevano
danzare sotto alla canicola estiva. Quando
la danza era finita gli abiti madidi venivano portati al re che sceglieva la
donna in base alla fraganza del sudore. Profumo
dell’uomo, denso come di more mature, fraganza fresca e lieve dei prati, odore
forte della terra crepitante, aroma severo delle pinete, sapore amaro delle
gemme verdi. E i profumi non debbono essere lontani dalla preghiera, se nelle
liturgie orientali, se ne fa grande uso e se anche da noi l’incenso inodora le
chiese. Ricordiamo la sensibilità di Caterina da Siena che, di fronte alla
morte di Nicolò di Tuldo, non trova voce più significante: “io allora sentivo
un giubilo e un odore del sangue suo, e non era senza l’odore del mio”:
espressione di una terribile sensualità, nella quale entrano tutti i messaggi
del corpo, fatti messaggi dello spirito, in una perfettissima armonia. Porsi in ascolto degli odori, porsi all’ascolto
dei sapori, ad essi così strettamente collegati, porsi in ascolto della
fisicità significa anche porsi in ascolto dell’anima di Dio.
Adriana Zarri
trattto da "teologia e antropologia della preghiera"
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