Dalle «Omelie sulla Genesi» di Origene, sacerdote
(Om. 8, 6. 8. 9; PG 12, 206-209)
«Abramo prese la
legna dell'olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il
coltello, poi proseguirono tutt'e due insieme» (Gn 22, 6). Isacco che reca la
legna per il proprio sacrificio è figura di Cristo che portò la sua croce, e
tuttavia portare la legna per l'olocausto è ufficio del sacerdote. Così egli
diventa vittima e sacerdote. Ma anche l'espressione «proseguirono tutt'e due
insieme» si riferisce allo stesso simbolo. Poiché mentre Abramo che si accinge
a compiere il sacrificio porta fuoco e coltello, Isacco non cammina dietro di
lui, ma a pari passo, perché si comprenda che egli condivide con lui il
sacerdozio.
Che cosa viene
ora? Disse Isacco a suo padre Abramo: Padre (cfr. Gn 22, 7). Questa voce del
figlio in un momento simile è la voce della tentazione. Infatti come pensi tu
che quel giovinetto, in procinto di essere immolato, non abbia con la sua voce
sconvolto il cuore paterno? E sebbene Abramo fosse alquanto duro per la sua
fede, rispose tuttavia con voce che tradiva l'affetto paterno: «Che vuoi,
figlio?». E lui: «Ecco qui», disse, «il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello
per l'olocausto?». Abramo rispose: «Dio stesso provvederà l'agnello per
l'olocausto, figlio mio» (Gn 22, 7-8).
Mi commuove questa
risposta di Abramo, così delicata e prudente. Non so che cosa egli prevedesse
nella sua mente, poiché non parla al presente ma al futuro: «Dio provvederà
l'agnello». Al figlio che chiedeva in presente dà la risposta in futuro; poiché
lo stesso Signore avrebbe provveduto l'agnello nella persona di Cristo.
«Abramo stese la
mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l'angelo del Signore lo
chiamò dal cielo e gli disse: Abramo, Abramo. Rispose: Eccomi. L'angelo disse:
Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu
temi Dio» (Gn 22, 10-12). Confrontiamo queste parole con ciò che dice
l'Apostolo riguardo a Dio: «Egli non ha risparmiato il suo proprio Figlio, ma
lo ha dato alla morte per noi tutti» (Rm 8, 32). Puoi vedere così che Dio gareggia
con gli uomini nella sua straordinaria liberalità. Abramo offrì a Dio il figlio
mortale, che però non sarebbe morto allora, mentre Dio consegna alla morte per
tutti noi il suo Figlio immortale. «Allora Abramo alzò gli occhi e vide un
ariete impigliato con le corna in un cespuglio» (Gn 22, 13). Abbiamo detto, in
precedenza, mi pare, che Isacco prefigurava il Cristo; ma anche l'ariete sembra
che in qualche modo sia figura di Cristo. Vale la pena riflettere un po' sul
modo con cui ambedue si possono riferire a Cristo: Isacco che non fu immolato e
l'ariete che fu offerto in sacrificio.
Cristo è il Verbo
di Dio, ma «il Verbo si è fatto carne» (Gv 1, 14). Cristo dunque patisce, ma
nella carne; e incontra la morte, ma nella carne, della quale l'ariete era una
figura, come anche Giovanni diceva: «Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che
toglie il peccato del mondo!» (Gv 1, 29). Ma il Verbo conservò la sua
impassibilità che è propria dello Spirito di Cristo, di cui Isacco è la figura.
Perciò egli è vittima e pontefice secondo lo spirito poiché colui che offre la
vittima al Padre secondo la carne, è lui stesso offerto sull'altare della croce.
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