Signore, non ho
voglia di pregare, e non ho niente da dirti.
Possibile che
non abbia niente da dirti?
Eppure è proprio
così.
Succede anche
questo, nella vita di fede.
Succede anche
nei rapporti tra uomini, succede anche
per gli amori della terra; e
specialmente a quell’amore, tra uomo e donna, che la Bibbia avvicina, come la
metafora più pertinente, all’amore che tu hai per noi e che noi dovremo avere
per te.
Anche
quest’amore terreno ha le sue notti e tanto più il rapporto nostro con te che
non sei visibile, ai nostri occhi di carne, non sei percepibile ai nostri sensi
grossolani e sembri, talora, non esistere.
E allora cosa
preghiamo?
Il vuoto?
Un abisso d’aria
che non risponde?
Una formula che
è scritta là, nel catechismo (quello vecchio, quello nuovo, che importa? Che
differenza fa?) e che non abbiamo mai
verificata?
Esiste, però,
una differenza tra gli inceppi della vita di coppia e i problemi del nostro
rapporto con te.
Perché, in
questo caso, è solo l’amore nostro che viene meno o che, pur sussistendo, non
trova canali di espressione. Tu, invece, sei sempre là che accetti e ci
rincorri e non ti stanchi mai di amarci.
Tu, Signore, ti
sei invaghito di noi; e ci persegui col tuo amore.
Stai alla porta
e bussi, aspettando che noi ti apriamo.
E non sempre ti
apriamo. Talvolta ti lasciamo la porta
chiusa in faccia.
E talaltra
facciamo i pigri, accampando pretesti, come la donna del Cantico.
Diceva di
essersi tolta la veste, di essersi già lavata i piedi e di non volerseli nuovamente
sporcare.
Ormai s’era
disposta al riposo: cosa venivi a fare a quell’ora di notte?
Come,
l’innamorato bussa alla tua porta e tu fai la ritrosa? Ma forse i pretesti della donna eran solo una
finta, forse erano una tenera commedia per accendere il desiderio di lui; ma
lui la prende male e , senza dir nulla, se ne va. E lei corre a cercarlo, nella
notte, e le guardie la maltrattano, forse scambiandola per una prostituta.
Ma a lei non
importa la sua reputazione, casa pensa la gente: le importa solo l’innamorato
che non trova più.
Ecco,
l’amore umano ha questi malintesi.
E’ diverso dal
tuo; eppure, qualche volta gli somiglia.
Perché anche tu
fingi di allontanarti nella notte; o almeno a noi sembra così.
Non ti troviamo
più.
Chiamiamo e tu
non rispondi, o almeno non sentiamo la tua voce.
Ma qualche volta
nemmeno ti chiamiamo.
Non abbiamo
voglia di pregare.
Perché la
difficoltà di quest’amore è proprio la tua invisibilità: mente noi siamo fatti
di carne, di occhi che vogliono guardare, di orecchie che aspettano di udire
una voce che chiama, di mani che vogliono toccare una forma, una tangibilità.
Ci hai fatti tu
così, Signore, e non puoi lamentarti .
E infatti non ti lamenti: aspetti.
Perché, oltre
agli occhi e alle mani, ci hai dato altri sensi più sottili che possono
percepire l’invisibile.
Ma spesso
dormono questi sensi raffinati perché sopraffatti da quelli più invadenti .
Come lo stelo di
buon grano soffocato dai rovi.
È la parabola
del seminatore.
I rovi sono
invadenti e prepotenti, il frastuono del mondo, l’urgere degli istinti più
immediati può coprire l’istinto sottile della fede. E noi svolazziamo qua e là,
dietro alle voci più chiassose, dietro alla verità.
Allora bisogna
mettere a tacere il chiasso, fare silenzio, fare spazio a te: a te che non sei
invadente, non sei chiassoso ma, anzi, chiedi concentrazione.
E non è facile, Signore, quando, attorno a
noi, tutto risuona di clamore. Non siamo solo noi, Signore, a non prestarti
orecchio: è tutto il nostro mondo, è la nostra cultura che rincorre lo
spettacolo, l’esteriorità. E non tanto l’amore gratuito cerca ma l’interesse,
il successo.
C’è poco spazio
per te, Signore.
Così come c’è
poco spazio per quei sensi sottili, più in grado di percepire l’invisibile.
C’è poco spazio
per la fantasia, la poesia, per quelle cose che non servono e pur non servono e
pur son tanto necessarie.
Non servono a
rincorrere il successo, per imporsi e “contare”, non servono per avere denaro e
potere, ma son necessarie a esser uomini, con quanto c’è di più profondamente
umano.
Il nostro mondo
è quanto di meno contemplativo si possa immaginare; e tu, Signore, lo sai bene;
e certo non ti stupisci se noi, immersi in questa cultura efficientista, spesso
non siamo capaci di pregarti e non ne abbiamo neanche voglia.
Ci sembra di non
aver niente da dire, forse perché diciamo troppe cose e sprechiamo discorsi e
non ci resta spazio per ascoltare il tuo Verbo silenzioso e pur detto, nella
Scrittura che ha assunto linguaggio d’uomo.
E allora, in
questo deserto dello spirito, non c’è che chiederti di darci voce e
occhi per vederti, oltre la visibilità della materia: di quella materia che tu
pure hai creato ma che può diventare opaca e sorda come un muro.
Eppure non come
muro l’hai creata ma come strada per arrivare a te.
Ecco, facci
capire che tutte le realtà del mondo sono strade, e insegnaci a percorrerle
perché, alla fine, ci sei tu; ma prima bisogna molto camminare, e sporcarci i
piedi, come l’amante del Cantico, e inseguirti nella notte….
Adriana Zarri
Capitolo tratto da
“Quasi una preghiera”
Nessun commento:
Posta un commento