Mentre gli uomini inquinano, degradano e devastano, vorrei pregarti, o Dio, per questa terra: per questa terra in senso proprio, questa terra di terra, questo cielo d’aria e non per quello metaforico, popolato dagli angeli: per questo cielo nostro, questo cielo di nuvole e di vento, percorso dalle ali degli uccelli.
Questo mondo di terra, di cielo, di acque, di piante, di animali tu ce l’hai preparato, Signore, e ce l’hai consegnato nelle tue mani perché lo custodissimo. Era la nostra casa ed è tuttora- anche inquinata – la nostra abitazione, la nostra patria e non già il nostro esilio come una falsa ascetica ci ha voluto far credere.
Tu, Signore, non hai creato una prigione ne ci hai messi in esilio: nella nostra patria ci hai collocati, nella casa che avevi amorosamente preparato per noi, sulla nostra misura e amore e gusto di vivere; così come l’uccello o l’animale del bosco prepara il nido o la tana sulla misura e le necessità della sua prole. E non hai creato un Deserto ma un giardino: il giardino dell’Eden. E facciamo pure spazio a tutte le licenze di un genere letterario da non prender parola per parola, ma resta sempre il messaggio di fondo di una creazione bella e buona predisposta da te per i nostri bisogni e – perché no? – i nostri diletti e nostri svaghi: quando guardiamo il cielo e i cumuli di nubi candide che si fan rosa, nel tramonto, godendone lo splendore e il pallore, la levità, l’accensione e la dissoluzione nel crepuscolo che trascolora da rosa a viola per spegnersi nella notte profonda. Questa è la patria bella che tu ci hai dato. Poi ha un po’ di ragione anche la falsa ascetica) allontanandoci da te, ci siamo allontanati anche dal nostro mondo e la patria si è fatta un poco esilio; non tanto, tuttavia, da non poterlo ancora chiamare e sentire patria nostra, anche se una patria ancora più nostra e vera ci attende alla fine della vita, alla fine dei tempi o anche, in parte, alla fine del nostro tempo di purificazione: in quel “ritorno nell’Eden “di cui parlano i Padri e che comincia nella nostra esistenza per compiersi di là, come l’ingresso nel Regno (e non è forse l’Eden un suo simbolo?) Ecco quindi che siamo già nella nostra patria e non ci siamo ancora pienamente, e questo mondo che pur sentiamo tanto congeniale, dobbiamo ancor più pienamente conquistarlo; e non tanto con le vittorie tecniche, quanto con un dominio interiore, che a lui ci renda più apparentati.
Perciò la nostra preghiera per la terra si fa preghiera per noi: per il nostro rispetto, la nostra armonizzazione, la nostra consonanza.
· Dacci rispetto per ogni animale e ogni pianta;
· Facci comprendere che non solo la rosa è bella, ma anche i rovi e le ortiche dei fossi; e non soltanto la farfalla, ma anche il bruco che rosica le foglie e il lombrico che, umile e paziente, scava le sue gallerie sotto la terra rendendola più soffice e più fertile.
· Dacci un cuore per amare le rose e le spine, la rugiada e anche il fango.
· Dacci occhi attenti per cogliere le accensioni dei tramonti e i pallori delle nebbie, i doviziosi rossi e le sfumature morbide di grigio, lo splendore del sole e il pallore della luna.
· Dacci orecchie sensibili per ascoltare lo scoppio del tuono e il fruscio della brezza, il canto del gallo mattutino e il tonfo della rana nello stagno.
· Dacci narici attente per cogliere l’inebriante profumo della prima erba e l’odore amaro delle foglie cadute e macerate, la fresca fragranza dei fiori e il sentore greve della terra crepitante nel sole.
· Dacci mani amorose per sfiorare la frescura del prato e la scorza rugosa delle piante, per impastarsi con la terra e affondarsi nel pelo morbido di un gatto.
Quest’ascolto del mondo, che entra da tutte le porte del corpo, è una premessa, una preparazione, una pedagogia che ci introduce all’ascolto di te.
Perché l’attitudine all’accoglienza non si improvvisa; e, se non sappiamo ascoltare i suoni, i rumori e i mormorii del mondo, non sapremo neanche ascoltare la tua voce che è più sottile della brezza dell’aria.
E questo nostro dolce mondo, ti prego, Dio, fallo risorgere tutto, così com’è, perché è così com’è che noi l’amiamo, ed è così com’è che lo attendiamo, quando “i cieli nuovi” e “le terre nuove” che ci hai promesso risorgeranno dal gran rogo finale. Certo non ci saranno i terremoti, le alluvioni, le inondazioni, ma i temporali si, dacceli anche di là; Signore: i temporali con le nubi nere, gli scrosci freschi e poi l’arcobaleno. E i tramonti, le nuvole, le stelle; la luna che si specchia nello stagno e la rana che dentro nuota e gracida, i cani che abbaiano nella notte e le lucertole sui muri assolati. Ti prego, non dimenticartene, Signore, perché io aspetto di trovarle di là. Se non ci fossero ne resterei delusa; e in paradiso non può starci delusione. Per farci felici senza il nostro universo dovresti fare un miracolo. Non farlo, Signore, ma ridacci piuttosto questo mondo: questo mondo abitato da te. E la nostra felicità sarai tu, certamente, e il mondo sarà appena uno spicciolo di gioia, a paragone del tuo splendore e del tuo amore; però non lesinarci questo spicciolo, perché nella gioia grande c’è posto anche per la piccola e accanto all’abisso del tuo insondabile mistero c’è posto anche per il frinir di una cicala.
Questo mondo di terra, di cielo, di acque, di piante, di animali tu ce l’hai preparato, Signore, e ce l’hai consegnato nelle tue mani perché lo custodissimo. Era la nostra casa ed è tuttora- anche inquinata – la nostra abitazione, la nostra patria e non già il nostro esilio come una falsa ascetica ci ha voluto far credere.
Tu, Signore, non hai creato una prigione ne ci hai messi in esilio: nella nostra patria ci hai collocati, nella casa che avevi amorosamente preparato per noi, sulla nostra misura e amore e gusto di vivere; così come l’uccello o l’animale del bosco prepara il nido o la tana sulla misura e le necessità della sua prole. E non hai creato un Deserto ma un giardino: il giardino dell’Eden. E facciamo pure spazio a tutte le licenze di un genere letterario da non prender parola per parola, ma resta sempre il messaggio di fondo di una creazione bella e buona predisposta da te per i nostri bisogni e – perché no? – i nostri diletti e nostri svaghi: quando guardiamo il cielo e i cumuli di nubi candide che si fan rosa, nel tramonto, godendone lo splendore e il pallore, la levità, l’accensione e la dissoluzione nel crepuscolo che trascolora da rosa a viola per spegnersi nella notte profonda. Questa è la patria bella che tu ci hai dato. Poi ha un po’ di ragione anche la falsa ascetica) allontanandoci da te, ci siamo allontanati anche dal nostro mondo e la patria si è fatta un poco esilio; non tanto, tuttavia, da non poterlo ancora chiamare e sentire patria nostra, anche se una patria ancora più nostra e vera ci attende alla fine della vita, alla fine dei tempi o anche, in parte, alla fine del nostro tempo di purificazione: in quel “ritorno nell’Eden “di cui parlano i Padri e che comincia nella nostra esistenza per compiersi di là, come l’ingresso nel Regno (e non è forse l’Eden un suo simbolo?) Ecco quindi che siamo già nella nostra patria e non ci siamo ancora pienamente, e questo mondo che pur sentiamo tanto congeniale, dobbiamo ancor più pienamente conquistarlo; e non tanto con le vittorie tecniche, quanto con un dominio interiore, che a lui ci renda più apparentati.
Perciò la nostra preghiera per la terra si fa preghiera per noi: per il nostro rispetto, la nostra armonizzazione, la nostra consonanza.
· Dacci rispetto per ogni animale e ogni pianta;
· Facci comprendere che non solo la rosa è bella, ma anche i rovi e le ortiche dei fossi; e non soltanto la farfalla, ma anche il bruco che rosica le foglie e il lombrico che, umile e paziente, scava le sue gallerie sotto la terra rendendola più soffice e più fertile.
· Dacci un cuore per amare le rose e le spine, la rugiada e anche il fango.
· Dacci occhi attenti per cogliere le accensioni dei tramonti e i pallori delle nebbie, i doviziosi rossi e le sfumature morbide di grigio, lo splendore del sole e il pallore della luna.
· Dacci orecchie sensibili per ascoltare lo scoppio del tuono e il fruscio della brezza, il canto del gallo mattutino e il tonfo della rana nello stagno.
· Dacci narici attente per cogliere l’inebriante profumo della prima erba e l’odore amaro delle foglie cadute e macerate, la fresca fragranza dei fiori e il sentore greve della terra crepitante nel sole.
· Dacci mani amorose per sfiorare la frescura del prato e la scorza rugosa delle piante, per impastarsi con la terra e affondarsi nel pelo morbido di un gatto.
Quest’ascolto del mondo, che entra da tutte le porte del corpo, è una premessa, una preparazione, una pedagogia che ci introduce all’ascolto di te.
Perché l’attitudine all’accoglienza non si improvvisa; e, se non sappiamo ascoltare i suoni, i rumori e i mormorii del mondo, non sapremo neanche ascoltare la tua voce che è più sottile della brezza dell’aria.
E questo nostro dolce mondo, ti prego, Dio, fallo risorgere tutto, così com’è, perché è così com’è che noi l’amiamo, ed è così com’è che lo attendiamo, quando “i cieli nuovi” e “le terre nuove” che ci hai promesso risorgeranno dal gran rogo finale. Certo non ci saranno i terremoti, le alluvioni, le inondazioni, ma i temporali si, dacceli anche di là; Signore: i temporali con le nubi nere, gli scrosci freschi e poi l’arcobaleno. E i tramonti, le nuvole, le stelle; la luna che si specchia nello stagno e la rana che dentro nuota e gracida, i cani che abbaiano nella notte e le lucertole sui muri assolati. Ti prego, non dimenticartene, Signore, perché io aspetto di trovarle di là. Se non ci fossero ne resterei delusa; e in paradiso non può starci delusione. Per farci felici senza il nostro universo dovresti fare un miracolo. Non farlo, Signore, ma ridacci piuttosto questo mondo: questo mondo abitato da te. E la nostra felicità sarai tu, certamente, e il mondo sarà appena uno spicciolo di gioia, a paragone del tuo splendore e del tuo amore; però non lesinarci questo spicciolo, perché nella gioia grande c’è posto anche per la piccola e accanto all’abisso del tuo insondabile mistero c’è posto anche per il frinir di una cicala.
Adriana Zarri
Capitolo tratto da
“quasi una preghiera”
Capitolo tratto da
“quasi una preghiera”
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