Il linguaggio gestuale ha le sue zone di intimità; a cominciare dalla valutazione del corpo che non può sempre pubblicamente esprimersi, nella sua disvelata pienezza e, anzi, costretto normalmente a mortificarsi con l’umiliante copertura del vestito. Le nostre ossessioni ci hanno portato a vedere la nudità e la veste quasi soltanto in chiave sessuale; ma ben più vaste sembrano le loro implicanze. Nella Bibbia la veste fa parte integrante della persona: è la sua dignità e la sua difesa; e il pudore che la esige non è solo un ritegno sessuale ma un più profondo rispetto dell’uomo e di tutti i suoi riserbi e segretezze: una zona di inviolabilità che non è lecito varcare; e il varcarla è un affronto, uno scherno, un’avvilente umiliazione. La persona denudata è indifesa, in balia dell’altro, priva del suo decoro. Eppure la nudità appare anche lo stato ideale dell’uomo. Nudi erano i progenitori, prima della colpa, e nudi, secondo un vangelo apocrifo, saranno gli ultimi uomini quando alla fine dei tempi, la colpa sarà totalmente consumata; e il mito di questo inizio e di questo ritorno è denso di significato; così come splendidamente allusivo è il simbolo di Adamo ed Eva che si scoprono nudi e avvertono, d’improvviso, la vergogna solo dopo la colpa e in conseguenza di essa. La colpa ha portato nel mondo la divisone, e il pudore della nudità fisica è una difesa dell’io di fronte a un tu che sente “altro” , diverso e potenzialmente aggressivo e violatore. Ecco allora la veste come barriera e limite che poniamo all’incontro. Essa costituisce indubbiamente un diaframma tra i due; ma è proprio quel diaframma che ci difende dall’intrusione di un estraneo, in una zona di tale intimità che può venire visitata solo da un altro se stesso. Il rapporto tra le persone oggi esige normalmente una certa distanza , una certa difesa; non è quasi mai così totalmente disarmato da potersi offrire del tutto senza veli e riserbi. Soltanto quando il “tu”che ci è di fronte non ci sta più di frontre ma ci entra dentro , quasi un secondo “io” (alter ego), quando, sconfitta ormai la divisione, non è più sentito come altro ma come parte di noi stessi, allora, scomparso il senso dell’alterità, noi siamo del tutto disarmati, in una totale remissione. A questo punto il nudo può essere la veste più adeguata del rapporto. Così nudi ci appaiono gli amanti del Cantico; e nude sono certe figurazioni degli artisti che collocano l’uomo nuovamente- o finalmente – nell’Eden.
Adriana Zarri
tratto da
teologia e antropologia della preghiera
Nessun commento:
Posta un commento