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martedì 3 maggio 2016

A Maria, donna senza retorica



Fà che le nostre labbra 
rechino il profumo del silenzio 


Santa Maria, donna senza retorica, prega per noi inguaribilmente malati di magniloquenza.
Abili nell'usare la parola per nascondere i pensieri più che per rivelarli, abbiamo perso il gusto della semplicità.
Convinti che per affermarsi nella vita bisogna saper parlare anche quando non si ha nulla da dire, siamo diventati prolissi e incontinenti.
Esperti nel tessere ragnatele di vocaboli sui crateri del "non senso", precipitiamo spesso nelle trappole nere dell'assurdo come mosche nel calamaio.
Incapaci di andare alla sostanza delle cose, ci siamo creati un'anima barocca che adopera i vocaboli come fossero stucchi, e aggiriamo i problemi con le volute delle nostre furbizie letterarie.
Santa Maria, donna senza retorica, prega per noi peccatori, sulle cui labbra la parola si sfarina in un turbine di suoni senza senso. Si sfalda in mille squame di accenti disperati. Si fa voce, ma senza farsi mai carne. Ci riempie la bocca, ma lascia vuoto il grembo. Ci dà l'illusione della comunione, ma non raggiunge neppure la dignità del soliloquio. E anche dopo che ne abbiamo pronunciate tante, perfino con eleganza e a getto continuo, ci lascia nella pena di una indicibile aridità: come i mascheroni di certe fontane che non danno più acqua e sul cui volto è rimasta soltanto la contrazione del ghigno.
Santa Maria, donna senza retorica, la cui sovrumana grandezza è sospesa al rapidissimo fremito di un fiat, prega per noi peccatori, perennemente esposti, tra convalescenze e ricadute, all'intossicazione di parole.
Proteggi le nostre labbra da gonfiori inutili. Fa' che le nostre voci, ridotte all'essenziale, partano sempre dai recinti del mistero e rechino il profumo del silenzio.
Rendici come te, sacramento della trasparenza.
E aiutaci, finalmente, perché nella brevità di un "sì" detto a Dio ci sia dolce naufragare: come in un mare sterminato.

A Maria, donna feriale


Insegnaci la grandezza 
della quotidianità

Santa Maria, donna feriale, forse tu sola puoi capire che questa nostra follia di ricondurti entro i confini dell' esperienza terra terra, che noi pure viviamo, non è il segno di mode dissacratorie.
Se per un attimo osiamo toglierti l'aureola, è perché vogliamo vedere quanto sei bella a capo scoperto.
Se spegniamo i riflettori puntati su di te, è perché ci sembra di misurare meglio l'onnipotenza di Dio, che dietro le ombre della tua carne ha nascosto le sorgenti della luce.
Sappiamo bene che sei stata destinata a navigazioni di alto mare.
Ma se ti costringiamo a veleggiare sotto costa, non è perché vogliamo ridurti ai livelli del nostro piccolo cabotaggio.
È perché, vedendoti così vicina alle spiagge del nostro scoraggiamento, ci possa afferrare la coscienza di essere chiamati pure noi ad avventurarci, come te, negli oceani della libertà.
Santa Maria, donna feriale, aiutaci a comprendere che il capitolo più fecondo della teologia non è quello che ti pone all'interno della Bibbia o della patristica, della spiritualità o della liturgia, dei dogmi o dell'arte. Ma è quello che ti colloca all'interno della casa di Nazaret, dove tra pentole e telai, tra lacrime e preghiere, tra gomitoli di lana e rotoli della Scrittura, hai sperimentato, in tutto lo spessore della tua naturale femminilità, gioie senza malizia, amarezze senza disperazioni, partenze senza ritorni.
Santa Maria, donna feriale, liberaci dalle nostalgie dell'epopea, e insegnaci a considerare la vita quotidiana come il cantiere dove si costruisce la storia della salvezza.
Allenta gli ormeggi delle nostre paure, perché possiamo sperimentare come te l'abbandono alla volontà di Dio nelle pieghe prosaiche del tempo e nelle agonie lente delle ore.
E torna a camminare discretamente con noi, o creatura straordinaria innamorata di normalità, che prima di essere incoronata Regina del cielo hai ingoiato la polvere della nostra povera terra.

sabato 2 gennaio 2016

Maria dell'anno nuovo


Venne il giorno, Maria in cui nacque Colui che era nato da sempre.
E ti parve una nascita.
E fu una nascita.
E ti parve un inizio.
E fu un inizio.
Ma la radice degli inizi che sperimentavi era senza fondo e senza fine: piantata in cielo, nell'eternità.
E venne il giorno in cui vedesti l'amore di Dio fatto carne da te.
E ti parve di vederLo, per la prima volta, e fu la prima volta.
Poi ti accorgesti che ogni volta che amiamo e ci lasciamo amare è la prima e l'ultima,e la seguente è tuta nuova mai vissuta.
Allora il vivere ti calò in mano vergine, irripetuto e irripetibile: qualcosa che nasceva e moriva nel vivere, consumato da un un tempo che non consentiva invecchiamenti, non concedeva repliche, ma ogni cosa ti dava per la prima volta e per l'ultima un'occasione da lasciare o da prendere. E se si lascia, quella, non si ritrova più. Se ne trovano altre perché l 'amore di Dio non ha soste, ma quelle uccise dal nostro rifiuto non possono tornare sono perse per sempre.
E per fortuna non l'avrei persa l'occasione che ti aveva portato Gabriele; ed ora era in braccio a te, e la cullavi, e di giorno la facevi succhiare dal tuo seno e, di notte la facevi dormire sul tuo sonno. Giorni e giorni, notti e notti e il sole che si levava e tramontava da sempre, sempre nuovo ogni volta.
E' l'amore sempre nuovo ogni volta.
Maria dell'anno nuovo, Vergine degli inizi Madre di Cristo, Madre della perenne novità, gurada su questa inutile scadenza sugli uomini che brindano ad un corso perenne, che non comincia questa notte, ma che comincia tutte le notti, e tutti i giorni e tutte le ore.
È una festa puerile ma che, talora ha gesti simbolici quasi profetici.
In alcune regioni si gettano via le cose rotte.
Ciò che non serve, ciò che è inutile, ciò che è vecchio, ciò che ci invecchia prende un volo gioioso, dalle finestre aperte e si schianta in faville di vetri rotti.
E all'alba le strade sono festanti di cocci
Dà senso, o Vergine, a queste piccole banali o forse sapienti usanze; fa che significhino e realizzano la sconfitta della vecchiezza, la fine dell'abitudine, la morte della morte.


Adriana Zarri
tratto da
Il pozzo di Giacobbe



mercoledì 26 settembre 2012

La benedizione del Padre rifulse agli uomini per mezzo di Maria




«Il Signore è con te!».
 E chi oserebbe gareggiare con te? 
Dio viene da te, e chi non ti cederebbe il passo e non ti darebbe anzi di buon grado il primato e la superiorità? 
Perciò, guardando alle tue eminenti prerogative più eccellenti di quelle di tutte le creature, grido anch'io, con grandissime lodi: «Ave piena di grazia, il Signore è con te!». Da te infatti il gaudio fu esteso non soltanto agli uomini, ma è donato anche alle virtù celesti. Veramente «benedetta tu fra le donne», perché hai mutato in benedizione la maledizione di Eva. Infatti hai fatto sì che Adamo, che prima giaceva colpito da maledizione, fosse per te benedetto. Veramente benedetta sei tu fra le donne, perché in grazia tua la benedizione del Padre è brillata agli uomini e li ha liberati dall'antica maledizione. Veramente benedetta sei tu fra le donne, perché per tuo mezzo i tuoi progenitori hanno trovato la salvezza: tu cioè genererai il Salvatore, che procurerà loro la divina salvezza.
Veramente benedetta fra le donne, perché senza umano concorso hai prodotto quel frutto che dà la benedizione a tutta la terra e la redime da quella maledizione che generava solo spine.
Veramente benedetta sei tu fra le donne perché pur essendo donna per la tua naturale condizione, tuttavia diventerai veramente la madre di Dio. Infatti colui che doveva nascere da te, è realmente e veramente Dio incarnato, e tu stessa sei detta a buon diritto e meritatamente genitrice di Dio, in quanto in tutta verità generi Dio.
Tu infatti nel segreto del tuo grembo hai Dio stesso che dimora in te secondo la carne e che procede da te come uno sposo: egli che ottiene per tutti il gaudio o distribuisce a tutti la luce divina.
Infatti in te, o Vergine, «Dio ha posto come in un cielo purissimo e limpido la sua tenda ed esce da te come sposo dalla stanza nuziale» (cfr. Sal 18, 6) e, imitando nella sua vita la corsa del gigante, percorrerà la via che sarà la salvezza per tutti i viventi e che protendendosi dalla sommità del cielo ai cieli più alti, riempirà ogni cosa di divino calore e allo stesso tempo di vivificante splendore.

ai «Discorsi» di san Sofronio, vescovo
(Disc. 2 per l'Annunciazione di Maria, 21-22. 26; PG 87, 3, 3242-3250)