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martedì 31 gennaio 2012

Nessun esempio di virtù è assente dalla croce

Fu necessario che il Figlio di Dio soffrisse per noi? 
Molto, e possiamo parlare di una duplice necessità: come rimedio contro il peccato e come esempio nell'agire.
Fu anzitutto un rimedio, perché è nella passione di Cristo, che troviamo rimedio contro tutti i mali in cui possiamo incorrere per i nostri peccati.
Ma non minore è l'utilità che ci viene dal suo esempio. La passione di Cristo infatti è sufficiente per orientare tutta la nostra vita.
Chiunque vuol vivere in perfezione non faccia altro che disprezzare quello che Cristo disprezzò sulla croce, e desiderare quello che egli desiderò. 
Nessun esempio di virtù infatti è assente dalla croce. 

  • Se  cerchi un esempio di carità, ricorda: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Questo ha fatto Cristo sulla croce. E quindi, se egli ha dato la sua vita per noi; non ci deve essere pesante sostenere qualsiasi male per lui.
  • Se cerchi un esempio di pazienza, ne trovi uno quanto mai eccellente sulla croce. La pazienza infatti si giudica grande in due circostanze: o quando uno sopporta pazientemente grandi avversità, o quando si sostengono avversità che si potrebbero evitare, ma non si evitano. Ora Cristo ci ha dato sulla croce l'esempio dell'una e dell'altra cosa. Infatti «quando soffriva non minacciava» (1Pt 2,23) e come un agnello fu condotto alla morte e non aprì la sua bocca (cfr. A 8,32). Grande è dunque la pazienza di Cristo sulla croce: «Corriamo con perseveranza nella corsa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù; autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia ch gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia» (Eb 12,2).
  • Se cerchi un esempio di umiltà, guarda il crocifisso: Dio, infatti, volle essere giudicato sotto Ponzio Pilato e morire.
  • Se cerchi un esempio di obbedienza, segui colui che si fece obbediente al Padre fino alla morte: «Come per la disobbedienza di uno solo, cioè di Adamo, tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti » (Rm 5, 19).
  • Se cerchi un esempio di disprezzo delle cose terrene, segui colui che è il re dei re ed il Signore dei signori, «nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2,3). Egli è nudo sulla croce, schernito, sputacchiato; percosso, coronato di spine, abbeverato con aceto e fiele. Non legare dunque il tuo cuore alle vesti ed alle ricchezze, perché «si son divise tra loro le mie vesti» (Gv 19, 24); non agli onori, perché ho provato gli oltraggi e le battiture (cfr. Is 53,4); non alle dignità, perché intrecciata una corona di spine, la misero sul mio capo (cfr. Mc 15,17) non ai piaceri, perché «quando avevo sete, mi han dato da bere aceto » (Sal 68,22).

S. Tommaso d’Aquino, conferenza sopra il «Credo in Deum», Breviario 28 gennaio

sabato 12 novembre 2011

Mi sazierò quando apparirà la tua gloria

Dalle «Conferenze» di san Tommaso d'Aquino, sacerdote
(Conf. sul Credo; Opuscula theologica 2; Torino 1954, pp. 216-217)

Quando saranno compiuti tutti i nostri desideri, cioè nella vita eterna, la fede cesserà. Non sarà più oggetto di fede tutta quella serie di verità che nel «Credo» si chiude con le parole: «vita eterna. Amen».
La prima cosa che si compie nella vita eterna è l'unione dell'uomo con Dio.
Dio stesso, infatti, è il premio ed il fine di tutte le nostre fatiche: «lo sono il tuo scudo, e la tua ricompensa sarà molto grande» (Gn 15,1). Questa unione poi consiste nella perfetta visione: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia» (1Cor 13,12).
La vita eterna inoltre consiste nella somma lode, come dice il Profeta: «Giubilo e gioia saranno in essa, ringraziamenti e inni di lode» (Is 51,3). Consiste ancora nella perfetta soddisfazione del desiderio. Ivi infatti ogni beato avrà più di quanto ha desiderato e sperato. La ragione è che nessuno può in questa vita appagare pienamente i suoi desideri, né alcuna cosa creata è in grado di colmare le aspirazioni dell'uomo. Solo Dio può saziarlo, anzi andare molto al di là, fino all'infinito. Per questo le brame dell'uomo si appagano solo in Dio, secondo quanto dice Agostino: «Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è senza pace fino a quando non riposa in te».
I santi, nella patria, possederanno perfettamente Dio. Ne segue che giungeranno all'apice di ogni loro desiderio e che la loro gloria sarà superiore a quanto speravano. Per questo dice il Signore: «Prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25,21); e Agostino aggiunge: «Tutta la gioia non entrerà nei beati, ma tutti i beati entreranno nella gioia. Mi sazierò quando apparirà la tua gloria»; ed anche: «Egli sazia di beni il tuo desiderio». Tutto quello che può procurare felicità, là è presente ed in sommo grado. Se si cercano godimenti, là ci sarà il massimo e più assoluto godimento, perché si tratta del bene supremo, cioè di Dio: «Dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 15,11).
La vita eterna infine consiste nella gioconda fraternità di tutti i santi. Sarà una comunione di spiriti estremamente deliziosa, perché ognuno avrà tutti i beni di tutti gli altri beati. Ognuno amerà l'altro come se stesso e perciò godrà del bene altrui come proprio.
Così il gaudio di uno solo sarà tanto maggiore quanto più grande sarà la gioia di tutti gli altri beati.

lunedì 22 agosto 2011

Il resto d'Israele pascolerà e riposerà


Dalla «Esposizione su Giovanni» (Cap. 10, lect. 3)


«Io sono il buon pastore» (Gv 10, 11).
 A Cristo compete chiaramente di essere pastore. Infatti, come il comune gregge viene guidato e pascolato dal pastore, così i fedeli sono ristorati da Cristo con un cibo spirituale, con il suo corpo e il suo sangue.
«Un tempo», dice l'Apostolo«, eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime» (1 Pt 2, 25). Ed il profeta: «Come un pastore egli fa pascolare il gregge» (Is 40, 11).
Ma siccome Cristo ha detto che il pastore entra per la porta e che egli è la porta, mentre qui dice di essere il pastore, ne segue che egli entra attraverso se stesso. E veramente entra attraverso se stesso, perché rivela se stesso e per se stesso conosce il Padre. Noi invece entriamo per lui, perché da lui siamo resi beati.
Ma osserva che nessun altro, all'infuori di lui, è la porta, perché nessun altro è la luce vera, ma la possiede solo in quanto gli viene partecipata da lui. «Egli non era la luce», è detto di Giovanni Battista, «ma doveva rendere testimonianza alla luce» (Gv 1, 8).
Invece di Cristo è detto: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1, 9). E perciò nessuno dice di sé di essere la porta. Questo, Cristo lo riservò solo per se stesso. Mentre partecipò ad altri il compito di essere pastori. Infatti Pietro fu pastore, lo furono gli altri apostoli, lo sono i buoni vescovi. «vi darò, dice la Scrittura, pastori secondo il mio cuore» (Ger 3, 15). sebbene, infatti, i capi della Chiesa, che sono suoi figli, tutti siano pastori, tuttavia dice di esserlo lui in modo singolare: «Io sono il buon pastore», allo scopo di introdurre con dolcezza la virtù della carità. Non si può essere infatti buon pastore se non diventando una cosa sola con Cristo e suoi membri mediante la carità. La carità è il primo dovere del buon pastore, perciò dice: «Il buon pastore offre la vita per le pecore» (Gv 10, 11). Infatti c'è differenza tra il buono e il cattivo pastore: il buon pastore ha di mira il vantaggio del gregge, mentre il cattivo proprio.
Nei guardiani di pecore non si esige che, per essere giudicati buoni, espongano la propria vita per la salvezza del gregge. Ma siccome la salvezza del gregge spirituale ha maggior peso della vita corporale del pastore, quando incombe il pericolo del gregge ogni pastore spirituale deve affrontare il sacrificio della vita corporale. Questo dice il Signore: «Il buon Pastore offre la sua vita per le sue pecore». Egli consacra a loro la sua persona nell'esercizio dell'autorità e della carità. Si esigono tutte e due le cose: che gli ubbidiscano e che le ami. Infatti la prima senza la seconda non è sufficiente.

Cristo ci ha dato l'esempio di questo insegnamento: «Se Cristo ha dato la sua vita per noi, anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 G3,16)

sabato 25 giugno 2011

O prezioso e meraviglioso convito!

Dalle «Opere»  (Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4)  

L'Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi, da uomini, dèi. Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull'altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati. Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino.O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai commensali salvezza e gioia senza fine! Che cosa mai vi può essere di più prezioso? Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Che cosa di più sublime di questo sacramento? Nessun sacramento in realtà è più salutare di questo: per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposizioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali. Nella Chiesa l'Eucaristia viene offerta per i vivi e per i morti, perché giovi a tutti, essendo stata istituita per la salvezza di tutti.Nessuno infine può esprimere la soavità di questo sacramento. Per mezzo di esso si gusta la dolcezza spirituale nella sua stessa fonte e si fa memoria di quella altissima carità, che Cristo ha dimostrato nella sua passione. Egli istituì l'Eucaristia nell'ultima cena, quando, celebrata la Pasqua con i suoi discepoli, stava per passare dal mondo al Padre. L'Eucaristia è il memoriale della passione, il compimento delle figure dell'Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini.

giovedì 10 marzo 2011

La via per giungere alla vera vita






















Dalla «Esposizione su Giovanni» di san Tommaso d'Aquino, dottore della Chiesa


(Cap. 14, lect. 2)


   La via è Cristo, e perciò dice: «Io sono la via» (Gv 14,6). Il che è pienamente giustificato, infatti «per mezzo di lui possiamo presentarci al Padre» (Ef 2,18).
E siccome questa via conduce alla meta, aggiunge: «Sono la verità e la vita»; e così egli è al tempo stesso via e meta. Via secondo l'umanità, meta secondo la divinità. Dunque, in quanto uomo, dice: «Io sono la via»; in quanto Dio aggiunge: «La verità e la vita». Con queste due parole è indicato molto bene il traguardo di questa via.
Il punto d'arrivo di questa via infatti è la fine del desiderio umano. Ora l'uomo desidera due cose principalmente: in primo luogo quella conoscenza della verità che è propria della sua natura. In secondo luogo la permanenza nell'essere, proprietà questa comune a tutte le cose. In Cristo si trova l'una e l'altra. Egli è la via per arrivare alla conoscenza della verità, anzi è la stessa verità: Guidami, Signore, nella verità e camminerò nella tua via (cfr. Sal 85,11).
Similmente egli è la via per giungere alla vita, anzi, egli stesso è la vita: «Mi hai fatto conoscere il sentiero della vita» (Sal 15,11 volg.).
E perciò ha designato la fine di questa via come verità e vita. Entrambe sono state applicate a Cristo più sopra.
Innanzitutto egli è la vita: si dice infatti «in lui era la vita», e poi che egli è la verità, perché «era la luce degli uomini» (Gv 1,4). E la luce è la verità. Se dunque cerchi per dove passare, accogli Cristo perché egli è la via: «Questa è la strada, percorretela» (Is 30,21). Dice Agostino: «Cammina attraverso l'uomo e giungerai a Dio». È meglio zoppicare sulla via, che camminare a forte andatura fuori strada. Chi zoppica sulla strada, anche se avanza poco, si avvicina tuttavia al termine. Chi invece cammina fuori strada, quanto più velocemente corre, tanto più si allontana dalla meta.
Se cerchi dove andare, segui Cristo, perché egli è la verità, alla quale desideriamo arrivare: «La mia bocca proclama la verità» (Pro 8,7). Se cerchi dove fermarti, stai con Cristo, perché egli è la vita: Chi trova me, trova la vita e attingerà la salvezza dal Signore (cfr. Pro 8,35).
Segui dunque Cristo se vuoi essere sicuro. Non potrai smarrirti, perché egli è la via. Perciò coloro che seguono lui non camminano per luoghi impraticabili, ma per la via giusta. Parimenti non può esservi errore, perché egli è la verità ed insegna tutta la verità. Dice infatti: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo, per rendere testimonianza alla verità» (Gv 18,37). Infine non può esservi confusione, perché egli è la vita e dà la vita. Dice infatti: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).