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mercoledì 30 settembre 2015

E` Dio l`autore dell`unione coniugale


Non ripudiare quindi la tua sposa: significherebbe negare che Dio è l`autore della tua unione. 
Infatti se è tuo compito sopportare e correggere i costumi degli estranei, a maggior ragione lo è nei riguardi di tua moglie.
Ascolta quanto dice il Signore:
 "Chi ripudia la sposa ne fa un`adultera" (Mt 5,32). 
Colei infatti che, finché vive il marito, non può sposarsi di nuovo, può essere soggetta alla lusinga del peccato. 
Cosí colui che è responsabile dell`errore lo è anche della colpa, quando la madre è ripudiata con i suoi bambini, quando, già anziana e col passo ormai stanco, è messa alla porta. 
Ed è male scacciare la madre e trattenere i suoi figli: perché si aggiunge, all`oltraggio fatto al suo amore, la ferita nei suoi affetti materni.
Ma piú crudele è scacciare anche i figli per causa della madre, in quanto i figli dovrebbero piuttosto riscattare agli occhi del padre il torto della madre. 
Quale rischio esporre all`errore la debole età di un adolescente! 
E quale durezza di cuore scacciare la vecchiaia, dopo aver deflorato la giovinezza! 
Sarebbe lo stesso se l`imperatore scacciasse un soldato veterano senza compensarlo per i suoi servigi, togliendogli gli onori e il comando che ha; o che un agricoltore scacciasse dal suo campo il contadino spossato dalla fatica! 
Ciò che è vietato fare nei confronti dei sudditi, sarebbe dunque permesso nei riguardi dei congiunti?
Tu invece ripudi la tua sposa quasi fosse nel tuo pieno diritto, senza temere di commettere un`ingiustizia; tu credi che ciò ti sia permesso perché la legge umana non lo vieta.
 Ma lo vieta la legge di Dio: e se obbedisci agli uomini, devi temere Dio. 
Ascolta la legge del Signore cui obbediscono anche quelli che fanno le leggi:
 "Ciò che Dio ha unito, l`uomo non divida" (Mt 19,6).
Ma non è soltanto un precetto del cielo che tu violi: tu in certo modo distruggi un`opera di Dio.
Tu permetteresti - ti prego - che, te vivente, i tuoi figli dipendessero da un patrigno, oppure che, mentre è viva la loro madre, essi vivessero sotto una matrigna?
E supponi che la sposa che hai ripudiata non torni a sposarsi: ebbene, ti era sgradita, quando eri suo marito, questa donna che si mantiene fedele a te, ora che sei adultero? 
Supponi invece che torni a sposarsi: la sua necessità è un tuo crimine, e ciò che tu credi un matrimonio in realtà è un adulterio.
 E senza importanza che tu commetta adulterio pubblicamente, oppure che tu lo commetta sembrando marito; c`è solo il fatto che la colpa commessa per principio è piú grave di quella commessa furtivamente.
Forse qualcuno potrà dire:
 "Ma allora perché Mosè ha comandato di dare il libello di divorzio e di licenziare la moglie?" (Mt 19,7; Dt 24,1).
Chi parla in questo modo è giudeo, non è cristiano: egli obietta ciò che fu obiettato al Signore, e perciò lasciamo al Signore il compito di rispondergli: 
"Per la durezza del vostro cuore" - dice - "Mosè vi permise di dare il libello del divorzio e di ripudiare le mogli; ma all`inizio non era così" (Mt 19,8). 
Cioè egli dice che Mosè lo ha permesso, ma Dio non lo ha ordinato: all`inizio valeva la legge di Dio. 
Qual è la legge di Dio? 
"L`uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua sposa, e saranno due in una carne sola" (Gen 2,24; Mt 19,5). 
Dunque chi ripudia la sposa, dilania la sua carne, divide il suo corpo.

(Ambrogio, Exp. in Luc., 8, 4-7)



venerdì 22 agosto 2014

I messaggi espressivi del corpo


 Il linguaggio della preghiera non è fatto soltanto di parole,  non è fatto soltanto di silenzio, non è fatto soltanto di spirito e di cuore; è fatto anche di corpo, di sensi, di gesti. 
E se la disposizione contemplativa è soprattutto un’attitudine di attesa di essa comporta anche un ascolto del corpo e della molteplicità dei suoi messaggi : un corpo che dobbiamo imparare a sentirci addosso, con la pelle calda, i suoi odori, le sue antenne protese, i suoi pori di accoglienza: messaggi che vanno dai gesti ai suoni, ai contatti, agli odori in ci sono impegnati tutti i sensi.
 Penso ad esempio, ai messaggi olfattivi, così carichi e densi di richiami animali e sessuali. Le bestie comunicano attraverso gli odori; ma anche gli  sono sensibili  a questo alfabeto del mondo e del corpo: dal profumo fresco e innocente d’erba nuova all’aroma austero delle piante all’odore forte, denso e carnale delle more  mature e della pelle sudata.
Anche del sudore abbiamo vergogna: lo serbiamo soltanto alla retorica del “sudor della fronte” e per il resto il nominarlo non è secondo le buone maniere. Perciò abbiamo inventato il termine “traspirazione”, più elegante e pulito. E forse il nostro modo innaturale di vivere favorisce in  effetti  proliferazioni batteriche con odori sgradevoli e malsani; ma a lavorare a torso nudo, sotto al sole, un sudore sano gronda dalla pelle calda e aereata, esaltando l’odore vero dell’uomo. Anche questo ci ha dato ombra  e abbiamo inventato i deodoranti in cui qualcuno ha visto un tentativo di neutralizzazione sessuale. E in effetti – al di fuori di casi di particolare sgradevolezza- spesso il deodorante cancella l’odore dell’uomo, neutralizzando messaggi vitali. Gli animali si riconoscono all’odore. Anche le madri  di campagna, un po’ meno  igieniste e deodorate, riconoscono i figli dall’odore, come Abramo. L’odore è un alfabeto personale e personalizzante. Oggi la personalizzazione la si cerca attraverso il profumo artefatto. Una persona “di classe” ha il suo profumo personale, e sta bene. Ma, e prima di ogni altra essenza sovrapposta, ciascuno ha un suo personalissimo odore legato al suo corpo, alla sua pelle, ai suoi ormoni, forse alla sua psicologia. In certe antiche zone orientali, quando un sovrano voleva una nuova concubina, dalle province del suo regno si faceva venire sei fanciulle e si facevano danzare  sotto alla canicola estiva. Quando la danza era finita gli abiti madidi venivano portati al re che sceglieva la donna in base alla fraganza  del sudore. Profumo dell’uomo, denso come di more mature, fraganza fresca e lieve dei prati, odore forte della terra crepitante, aroma severo delle pinete, sapore amaro delle gemme verdi. E i profumi non debbono essere lontani dalla preghiera, se nelle liturgie orientali, se ne fa grande uso e se anche da noi l’incenso inodora le chiese. Ricordiamo la sensibilità di Caterina da Siena che, di fronte alla morte di Nicolò di Tuldo, non trova voce più significante: “io allora sentivo un giubilo e un odore del sangue suo, e non era senza l’odore del mio”: espressione di una terribile sensualità, nella quale entrano tutti i messaggi del corpo, fatti messaggi dello spirito, in una perfettissima armonia.  Porsi in ascolto degli odori, porsi all’ascolto dei sapori, ad essi così strettamente collegati, porsi in ascolto della fisicità significa anche porsi in ascolto dell’anima di Dio.

Adriana Zarri
 trattto da "teologia e antropologia della preghiera"