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giovedì 11 ottobre 2012

La gioia della madre Chiesa è tanto più grande quanto maggiore è il numero delle vergini


Rivolgiamo ora la parola alle vergini e lo facciamo con tanta maggior premura quanto più grande è la loro nobiltà e dignità. Esse sono il fiore sbocciato sull'albero della Chiesa, sono gemme e gioielli di grazia, letizia di vita, oggetto di lode e di onore, dono integro e inalterato di Dio, riflesso della santità del Signore, porzione eterna del gregge di Cristo. La madre Chiesa sente vivissima gioia per esse e in esse manifesta la sua spirituale fecondità. Quanto più grande è la fioritura della verginità tanto maggiore è la letizia della madre. Noi ci rivolgiamo ad esse e le esortiamo, mossi più dall'affetto che dalla responsabilità del nostro ministero. Ultimi e infimi quali siamo e perfettamente consci della nostra piccolezza, non intendiamo atteggiarci a censori della loro condotta, bensì mostrare la nostra sollecitudine di pastori ed esprimere loro le nostre preoccupazioni per le insidie che il diavolo è capace di tessere.
Non è superflua ogni precauzione, nè vano ogni prudente timore quando si tratta di provvedere alla propria salvezza e di salvaguardare le direttive di vita date dal Signore medesimo.Si sono consacrate a Cristo rinunciando alle soddisfazioni del matrimonio. Si sono votate completamente a Dio per essere sante nella mente e nel corpo. Dio conceda loro di portare a compimento l'opera intrapresa in modo da ottenere il grande premio loro promesso. Non pensino ad ornarsi di gioielli o di tornar gradite agli uomini, ma di piacere solo al Signore che saprà premiare degnamente la loro verginità. Custodite, o vergini, custodite ciò che siete. Custodite quello che sarete.
Vi attende una magnifica corona. Il vostro coraggio avrà la meritata ricompensa. Alla vostra castità sarà riservato un dono eccelso. Voi avete già cominciato ad essere quello che noi saremo. Voi avete già in questo mondo la gloria della risurrezione. Camminate attraverso il mondo senza contagiarvi di esso. Mantenendovi caste e vergini, siete uguali agli angeli di Dio. Conservate, perciò, intatta la vostra verginità, e ciò che con matura deliberazione avete abbracciato, fatelo perdurare inviolabilmente con chiara consapevolezza. Per questo non curatevi tanto dell'aspetto esteriore, di monili e di varie eleganze, quanto piuttosto della santità della vita.
E' voce dell'apostolo, che il Signore ha chiamato " strumento eletto " e Dio mandò a proclamare i comandamenti celesti: " Il primo uomo, egli dice, tratto dalla terra è di terra, il secondo viene dal cielo; e quale è l'uomo di terra, così sono quelli di terra; e quale è quello celeste, così anche i celesti.
E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste" ( 1 Cor. 15,47-49 ) . E' questa l'immagine di cui si riveste la verginità. Essa porta l'integrità, porta la santità e la verità.

Dal trattato " Sul contegno delle vergini " di san Cipriano,
vescovo e martire  ( Nn.22,23; CSEL 3,189-190. 202-204 )

Bisogna imitare Cristo in tutto per essere degni delle sue promesse


 Vi saluto, fratelli carissimi, mentre vi esprimo il desiderio di godere anch'io della vostra
presenza. Ma le condizioni del luogo non mi permettono purtroppo di raggiungervi.
 Che cosa di più desiderabile e di più lieto mi potrebbe accadere di essere unito a voi, stretto
dalle vostre mani che, innocenti e fedeli a Cristo, hanno respinto i sacrifici sacrileghi? 
 Cosa di più gioioso e di più sublime del baciare ora le vostre labbra che hanno confessato ad
alta voce il Signore, dell'essere visto dai vostri occhi, i quali, sprezzando il mondo, sono diventati  degni di vedere Dio?
 Ma poiché non mi è concesso di partecipare a questa letizia, mando in mia vece agli orecchi
e occhi vostri questa lettera; in essa mi rallegro e vi esorto a perseverare forti e saldi nel rendere testimonianza alla gloria celeste. Siete entrati nella via dell'onore del Signore, e vi avviate ora con  spirituale vigore alla corona, seguendo come protettore e guida il Signore che disse: «Ecco, io sono  con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).  O prigione beata, nobilitata dalla vostra presenza! O carcere beato, che avvia al cielo uomini di Dio! O tenebre più splendenti del sole e più luminose della luce di questo mondo, dove ora sono
eretti i templi di Dio e le vostre membra santificate dalle testimonianze divine!
 Non ci sia ora nei vostri cuori e nelle vostre menti altro che  i divini precetti e i celesti
comandamenti, con i quali lo Spirito Santo sempre vi anima a sopportare il martirio. Nessuno pensi  alla morte, ma piuttosto all'immortalità; né pensi alle pene provvisorie, ma alla gloria eterna,  essendo scritto: Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli (cfr Sal 115, 15); e ancora: «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, tu, o Dio, non disprezzi» (Sal 50, 19).
 E ancora, la divina Scrittura parlando dei  tormenti che consacrano i  martiri di Dio e li santificano con la prova stessa del martirio dice: «Anche se agli occhi degli uomini subiscono
castighi, la loro speranza è piena di immortalità. Governeranno  le nazioni e avranno potere sui
popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro» (Sap 3, 4. 8).
 Quando dunque pensate che un giorno giudicherete e regnerete con Cristo Signore, dovete
esultare e calpestare nel gaudio del futuro i supplizi presenti, sapendo che è stato stabilito fin dalle  origini del mondo che la giustizia soffra qui nell'urto con il mondo del male. Rientra in questo piano il fatto che già fin dall'inizio venne ucciso Abele, il giusto, e che, in seguito, subirono la stessa sorte tutti i giusti destinati a una missione, così i profeti e così gli apostoli.
 A tutti costoro il Signore si è fatto modello, insegnando che al suo regno non giungeranno se
non coloro che lo avranno seguito nella sua via. Disse infatti: Chi ama la sua vita in questo mondo la perde. E chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna (cfr Gv 12, 25). E ancora: «Non abbiate paura di  quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere  l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna» (Mt 10, 28).
 Anche Paolo ci esorta perché noi che bramiamo di raggiungere le promesse di Cristo,
imitiamo il Signore in tutto. «Siamo, disse, figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze, per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8, 17)

Dalle « Lettere » di san Cipriano, vescovo e  martire
(Lett. 6, 1-2; CSEL 3, 480-482)

sabato 25 agosto 2012

Il cristiano nella persecuzione e nel tempo di pace


«Le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi» (Rm 8, 18).
Chi dunque non si sforzerebbe in tutti i modi di raggiungere tanta gloria da divenire amico di Dio, da entrare subito nel gaudio di Cristo, in modo che, dopo i tormenti e i supplizi della terra, possa riceverei premi del cielo? Per i soldati della terra è un titolo di gloria ritornare in patria trionfanti, dopo che hanno vinto il nemico. Ma non sarà, allora, molto più grande, molto più stimabile, la gloria di chi ritorna trionfante in paradiso, dopo aver vinto il diavolo? Nel luogo da cui Adamo peccatore fu cacciato, là riporteremo i trofei vittoriosi, dopo aver gettato a terra colui che ci aveva dapprima ingannati. Offriremo a Dio come dono graditissimo la nostra fede incontaminata, la virtù della mente
intatta, e la lode luminosa della nostra devozione. Ci accompagneremo a lui quando verrà il momento di ottenere la vendetta sui nemici. Staremo al suo fianco quando si siederà per giudicare. Saremo al suo fianco quando si siederà per giudicare. Saremo fatti coeredi di Cristo e resi uguali agli angeli. Avremo la gioia di possedere il Regno celeste insieme ai patriarchi, agli apostoli, ai profeti.
Quale persecuzione può esercitare una pressione verso il male pari a quella esercitata da queste realtà verso il bene? Quali tormenti una spinta maggiore?
Un cuore pieno di queste promesse diventa saldo, un animo, certo di tale premio, non potrà essere piegato da nessun terrore del diavolo e da nessuna minaccia del mondo; l'animo, dico, corroborato dalla fede certa e solida nella vita futura.
Si abbatta pure sui cristiani la tempesta della persecuzione. Essi non temeranno, perché vedono aperto su di loro il cielo. Li minacci pure l'antiCristo, ma Cristo li protegge. Venga loro inferta la morte, ma li segue l'immortalità. Che felicità, che gioia uscire da questo mondo nella letizia, uscire gloriosamente attraverso amarezze ed angustie, chiudere in un istante gli occhi che prima vedevano gli uomini e il mondo, e riaprirli subito per vedere Dio, il Cristo! Come appare rapido questo passaggio alla felicità! In un attimo sei sottratto alla terra per essere collocato nel regno dei cieli.
Tutto questo bisogna pensarlo con la mente e col cuore e meditarlo giorno e notte. Se la persecuzione troverà un soldato di Cristo impegnato così, non potrà vincerne la fortezza protesa verso il premio. Se invece la suprema
chiamata verrà prima, non rimarrà senza premio la fede che era preparata al martirio. Il prima e il dopo non interferiscono sul premio che Dio giudice concede. Nella persecuzione viene coronato il combattimento vittorioso, nel tempo di pace la condotta esemplare. (Capp. 13; CSEL 3, 346-347)

Dal trattato «A Fortunato» di san Cipriano, vescovo e martire

giovedì 23 agosto 2012

Fede inespugnabile


Con quali lodi vi potrei celebrare, o miei fortissimi fratelli? Con quale parola di encomio potrei esaltare degnamente la intrepidezza delle vostre anime, con quali espressioni magnificare la perseveranza della vostra fede? Sopportaste sino alla gloria la durissima prova e non cedeste ai tormenti, ma a voi piuttosto dovetterro arrendersi i supplizi. I tormenti, che non concedevano fine ai dolori, diedero compimento alla gloria. Continuò a lungo lo strazio, fu assai crudele il supplizio, ma non riuscì a sommergere una fede che trovò bene ancorata, e altro esito non ebbe che di portare più rapidamente al Signore gli uomini di Dio.
La moltitudine dei presenti, commossa, vide il celeste combattimento di Dio e la battaglia spirituale di Cristo; vide fermi i suoi servi, sentì la loro voce franca e coraggiosa, stupì di fronte all'incrollabile saldezza del loro animo, si meravigliò della forza divina che li sosteneva, constatò che, anche se indifesi contro gli strali di questo secolo, erano tuttavia armati delle armi dei credenti, cioé della fede. I torturati si alzarono più forti dei torturatori e le membra percosse e dilaniate vinsero gli artigli che percuotevano e laceravano. I colpi si succedevano ai colpi, ma il loro infuriare non poté vincere la loro fede inespugnabile benché nei servi di Dio, dopo che furono lacerate le carni, venissero torturate non più le membra, ma le ferite stesse. Scorreva il sangue per spegnere l'incendio della persecuzione, per soffocare con il suo glorioso spargimento le fiamme e il fuoco della geena. Oh di quale genere fu quello spettacolo del Signore, quanto sublime, quanto grande, quanto gradito agli occhi di Dio per la fedeltà e la devozione del suo soldato!
Si verificò quanto lo Spirito Santo dice e proclama nei salmi: «Preziosa agli occhi del Signore é la morte dei suoi fedeli» (Sal 115, 15). Preziosa é la morte di colui che acquista l'immortalità col prezzo del proprio sangue, che riceve la corona di Dio con l'estremo sacrificio. Quanto lieto fu colà Cristo, quanto volentieri combatté e vinse in tali suoi servi! Cristo é il protettore della fede. E' lui che dona a coloro che credono in proporzione della loro disponibilità. Nella persona del martire fu egli stesso presente al proprio combattimento, incoraggiò, rinvigorì e animò i combattenti e i difensori del suo nome. Colui che vinse una volta la morte per noi, la vince sempre in noi.
O beata la nostra Chiesa, che Dio illumina ancora e onora di tanta dignità, la nostra Chiesa che anche ai nostri tempi é resa splendente dal sangue glorioso dei martiri! Prima era candida nelle opere dei fratelli, ora é diventata purpurea nel sangue dei martiri. Fra i suoi fiori non mancano né i gigli né le rose. Ognuno aspiri al duplice altissimo onore, procurando tuttavia di avere almeno o la corona candida delle opere, o quella purpurea del martirio.

 Dalle «Lettere» di san Cipriano, vescovo e martire


mercoledì 8 agosto 2012

Per i soldati di Cristo non c'è morte, ma la corona della gloria

Mio caro fratello, non ho potuto inviarti subito un mio scritto perché nessuno dei chierici di questa chiesa poteva muoversi, trovandosi tutti sotto la bufera della persecuzione, che però, grazie a Dio, li ha trovati interiormente dispostissimi a passare subito al cielo.Ti comunico ora le notizie in mio possesso. Sono ritornati i messi che io avevo spedito a Roma perché appurassero e riferissero la decisione presa dalle autorità a mio riguardo, di qualsiasi genere essa potesse essere e metter fine, così, a tutte le illazioni e ipotesi incontrollate che circolavano. Ed ecco ora qual è la verità debitamente accertata. L'imperatore Valeriano ha spedito al senato il suo rescritto col quale ha deciso che vescovi, sacerdoti e diaconi siano subito messi a morte. I senatori, i notabili e quelli che hanno il titolo di cavalieri romani siano privati di ogni dignità ed anche dei beni. Se poi, anche in seguito alla confisca, dovessero irrigidirsi nella professione cristiana, devono essere condannati alla pena capitale. Le matrone cristiane subiscano la confisca di tutti i beni e poi 
siano mandate in esilio. A tutti i funzionari imperiali, che hanno già confessato la fede cristiana o dovessero confessarla al presente, siano parimenti confiscati tutti i beni. Siano poi arrestati e immatricolati fra gli addetti ai possedimenti imperiali. Al rescritto Valeriano aggiunse anche copia di una sua lettera inviata ai governatori delle province e che riguarda la mia persona. Di questa lettera sono in attesa di giorno in giorno, anzi l'affretto con la speranza, saldo e forte nella fede. La mia decisione di fronte al martirio è netta. Lo attendo, pieno di fiducia, come sono, di ricevere la corona della vita eterna dalla bontà e generosità di Dio. Vi comunico che Sisto ha subìto il martirio con quattro diaconi il 6 agosto, mentre si trovava nella zona del cimitero. Le autorità di Roma hanno come norma che quanti vengono denunciati quali cristiani debbano essere giustiziati e subire la confisca dei beni a beneficio dell'erario imperiale. Chiedo che quanto ho riferito sia portato a conoscenza anche degli altri nostri colleghi nell'episcopato, perché dalle loro esortazioni la nostra comunità possa venir incoraggiata e predisposta sempre meglio al combattimento spirituale. Ciò sarà di stimolo a considerare più il bene dell'immortalità che la morte, e a consacrarsi al Signore con fede ardente e fortezza eroica, a godere più che temere al pensiero di dover confessare la propria fede. I soldati di Dio e di Cristo sanno benissimo che la loro immolazione non è tanto una morte, quanto una 
corona di gloria. A te, fratello carissimo, il mio saluto nel Signore.
Dalle " Lettere " di san Cipriano, vescovo e martire 
(Lett. 80; CSEL 3,839-840) 

domenica 1 aprile 2012

Combattendo la battaglia della fede


Mentre lottiamo e combattiamo la battaglia della fede, Dio ci guarda, ci guardano i suoi angeli, ci guarda anche Cristo. Che onore grande e che felicità combattere sotto lo sguardo di Dio, essere coronati da Cristo giudice!
Armiamoci, fratelli carissimi, raccogliamo tutte le forze e disponiamoci alla battaglia con animo integro, con fede piena e con virtù solide. Tutte le schiere di Dio avanzino così verso il combattimento che devono sostenere.
L'Apostolo c'insegna ad armarci e a prepararci dicendo: «Cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace, tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno. Prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio» (Ef 6, 14-17).
Prendiamo queste armi, muniamoci di queste difese spirituali e celesti per poter resistere e respingere gli assalti del diavolo nel giorno del male.
Rivestiamoci della corazza della giustizia, perché il nostro petto sia difeso e protetto contro i colpi del nemico. I nostri piedi siano calzati e muniti dell'insegnamento evangelico. Cominciando così a calpestare e a schiacciare il serpente, non saremo morsi e vinti da lui.
Teniamo saldamente lo scudo della fede, perché contro di esso si estingua ogni dardo infuocato che il nemico ci scaglia addosso.
Prendiamo anche a protezione della testa l'elmo spirituale, per difendere i nostri orecchi dall'ascolto di parole mortifere, i nostri occhi da immagini detestabili. Sia premunita la fronte per conservare inviolato il segno di Dio, la nostra bocca per confessare vittoriosamente il Signore Gesù Cristo.
Armiamo anche la nostra destra con la spada spirituale, perché respinga vigorosamente i sacrifici immondi e, memorie dell'Eucaristia, prenda il corpo del Signore, lo stringa in attesa di ricevere poi da Dio il premio delle celesti corone.
Queste cose, fratelli carissimi, restino nei vostri cuori. Se, mentre pensiamo e meditiamo queste cose, arriverà il giorno della persecuzione, il soldato di Cristo, istruito dai suoi precetti e dai suoi moniti, non temerà la battaglia, ma sarà pronto per la corona



Dalle «Lettere» di san Cipriano, vescovo e martire
(Lett. 58, 8-9. 11; CSEL 3, 663-666)


domenica 15 gennaio 2012

Fabiano è per noi un esempio di fede e di virtù

Dalle “Lettere” di san Cipriano, vescovo e martire
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Quando fu informato della morte di papa Fabiano, san Cipriano scrisse ai presbiteri e ai diaconi di Roma questa lettera:
 “Era ancora incerta da noi la notizia della morte di quel santo mio confratello nell’episcopato, e le informazioni oscillavano dubbie, quando ricevetti da voi la lettera, mandatami per mezzo del suddiacono Cremenzio, dalla quale venivo pienamente informato della sua gloriosa morte. Allora esultai perché all’integrità del suo governo era seguita una nobile fine.
A questo riguardo, mi rallegro moltissimo anche con voi, perché onorate la sua memoria con una testimonianza così solenne e splendida, facendo conoscere anche a noi la memoria gloriosa che voi avete del vostro vescovo e offrendo anche a noi un esempio di fede e di fortezza. Infatti, quanto é dannosa per i sudditi la caduta di chi é a capo, altrettanto invece é utile e salutare un vescovo che si offre ai fratelli come esempio di fermezza di fede”. 
Sembra che prima ancora di ricevere questa lettera, la chiesa di Roma offrisse alla chiesa di Cartagine la seguente testimonianza della sua fedeltà nella persecuzione: “La chiesa resiste forte nella fede. E’ vero che alcuni, o perché impressionati dalla risonanza che avrebbero potuto suscitare a causa della loro alta posizione sociale, o per via della fragilità umana, hanno ceduto, tuttavia, per quanto ormai separati da noi, non li abbiamo abbandonati nella loro defezione, ma li abbiamo aiutati e ancora siamo loro vicini perché si riabilitino mediante la penitenza e ricevano il perdono di colui che lo può concedere.
Se, infatti, noi li lasciassimo in balia di se stessi, la loro caduta diventerebbe irreparabile. Cercate di fare anche voi altrettanto, fratelli carissimi, porgendo la mano a coloro che sono caduti perché si rialzino. Così se dovessero ancora subire l’arresto, si sentiranno forti per confessare questa volta la fede e rimediare all’errore precedente. Permetteteci di ricordarvi anche qual é la linea da seguire su un altro problema. Coloro che cedettero nella prova, se infermi, e purché pentiti e desiderosi della comunione con la chiesa, devono essere soccorsi. Le vedove e altri impossibilitati a presentarsi spontaneamente, come pure quanti si trovano in carcere o lontani dalle loro case, devono trovare chi provveda loro. Nemmeno i catecumeni colpiti dalla malattia devono rimanere delusi nelle loro attese di aiuto. Vi salutano i fratelli che sono in carcere, i presbiteri e tutta la chiesa, la quale con la massima sollecitudine vigila su tutti coloro che invocano il nome del Signore. Ma anche noi domandiamo il contraccambio del vostro ricordo”.(Lett. 9, 1 e 8, 2-3; CSEL 3, 488-489.487-488)

mercoledì 30 novembre 2011

Speriamo ciò che non vediamo


Dal trattato sui «Vantaggi della pazienza»
(Nn 13. 15; CSEL 3, 406-408)

«Chi persevererà sino alla fine sarà salvato» (Mt 10, 22; 24, 13): questo è comando salutare del nostro Signore e Maestro. E ancora: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31- 32).
Bisogna perciò avere pazienza e perseverare, fratelli carissimi, perché, ammessi alla speranza della verità e della libertà, possiamo davvero arrivare alla verità e alla libertà. Il fatto stesso di essere cristiani è questione di fede e di speranza; ma perché la speranza e la fede possano arrivare a portare frutto, è necessaria la pazienza.Noi non miriamo infatti alla gloria presente, ma alla futura, secondo quanto ammonisce l`apostolo Paolo, quando dice: «Nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza» (Rm 8, 24-25). L`attesa e la pazienza sono necessarie perché portiamo a compimento quello che abbiamo cominciato a essere e raggiungiamo quello che speriamo e crediamo perché Dio ce lo rivela.
In un altro passo lo stesso Apostolo, rivolgendosi ai giusti e a coloro con le buone opere e mettendo a frutto i doni ricevuti si procurano tesori per il cielo, insegna loro a essere pazienti dicendo: «Poiché dunque ne abbiamo l`occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede. E non stanchiamoci di fare il bene, e a suo tempo mieteremo» (Gal 6, 10. 9).
Egli ammonisce tutti a non venir meno nell`operare per mancanza di pazienza; nessuno distolto e vinto dalle tentazioni, desista nel bel mezzo del cammino della lode e della gloria, e rovini così le azioni precedentemente compiute, perché non porta a compimento quelle incominciate. Infine l’Apostolo, parlando della carità, le unisce anche la sopportazione e la pazienza: «La carità», dice, «è paziente; è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, ... non si adira, non tiene conto del male ricevuto. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1 Cor 13, 4-5). Egli ci fa vedere così che essa può perseverare tenacemente per il fatto che sa sopportare tutto.
E altrove: «Sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l`unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace» (Ef 4, 2b-3). Con ciò ha voluto dimostrare che non si può conservare né l`unità né la pace se i fratelli non si sostengono vicendevolmente con la mutua sopportazione e non serbano il vincolo della concordia con l`aiuto della pazienza.

domenica 20 novembre 2011

Cacciata la paura della morte, pensiamo all'immortalità

Dal trattato «Sulla morte» di san Cipriano, vescovo e martire
(Cap. 18. 24. 26; CSEL 3, 308. 312-314)


Non dobbiamo fare la nostra volontà, ma quella di Dio. È una grazia che il Signore ci ha insegnato a chiedere ogni giorno nella preghiera. Ma è una contraddizione pregare che si faccia la volontà di Dio, e poi, quando egli ci chiama e ci invita ad uscire da questo mondo, mostrarsi riluttanti ad obbedire al comando della sua volontà! Ci impuntiamo e ci tiriamo indietro come servitori caparbi. Siamo presi da paura e dolore al pensiero di dover comparire davanti al volto di Dio. E alla fine usciamo da questa vita non di buon grado, ma perché costretti e per forza. Pretendiamo poi onori e premi da Dio dopo che lo incontriamo tanto di malavoglia!
Ma allora, domando io, perché preghiamo e chiediamo che venga il regno dei cieli, se continua a piacerci la prigionia della terra? Perché con frequenti suppliche domandiamo ed imploriamo insistentemente che si affretti a venire il tempo del regno, se poi coviamo nell'animo maggiori desideri e brame di servire quaggiù il diavolo anziché di regnare con Cristo?
Dal momento che il mondo odia il cristiano, perché ami chi ti odia e non segui piuttosto Cristo, che ti ha redento e ti ama? Giovanni in una sua lettera grida per esortarci a non amare il mondo, andando dietro ai desideri della carne. «Non amate né il mondo», ci dice, «né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo.
E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!» (1 Gv 2, 15-17). Piuttosto, fratelli carissimi, con mente serena, fede incrollabile e animo grande, siamo pronti a fare la volontà di Dio. Cacciamo la paura della morte, pensiamo all'immortalità che essa inaugura. Mostriamo con i fatti ciò che crediamo di essere.
Dobbiamo considerare e pensare spesso che noi abbiamo rinunziato al mondo e nel frattempo dimoriamo quaggiù solo come ospiti e pellegrini. Accettiamo con gioia il giorno che assegna ciascuno di noi alla nostra vera dimora, il giorno che, dopo averci liberati da questi lacci del secolo, ci restituisce liberi al paradiso e al regno eterno. Chi, trovandosi lontano dalla patria, non si affretterebbe a ritornarvi? La nostra patria non è che il paradiso. Là ci attende un gran numero di nostri cari, ci desiderano i nostri genitori, i fratelli, i figli in festosa e gioconda compagnia, sicuri ormai della propria felicità, ma ancora trepidanti per la nostra salvezza. Vederli, abbracciarli tutti: che gioia comune per loro e per noi! Che delizia in quel regno celeste non temere mai più la morte; e che felicità vivere in eterno!
Ivi è il glorioso coro degli apostoli, la schiera esultante dei profeti; ivi l'esercito innumerevole dei martiri, coronati di gloria per avere vinto nelle lotte e resistito nei tormenti; le vergini trionfanti, che vinsero la concupiscenza della carne e del corpo con la virtù della continenza; ivi sono ricompensati i misericordiosi, che esercitarono la beneficenza, nutrendo e aiutando in varie maniere i poveri, e così osservarono i precetti del Signore e, con le ricchezze terrene, si procurarono i tesori celesti. Affrettiamoci con tutto l'entusiasmo a raggiungere la compagnia di questi beati. Dio veda questo nostro pensiero; questo proposito della nostra mente, della nostra fede, lo scorga Cristo, il quale assegnerà, nel suo amore, premi maggiori a coloro che avranno avuto di lui un desiderio più ardente.

domenica 11 settembre 2011

In una cosa così giusta non c'è da riflettere


Dagli «Atti proconsolari del martirio (Atti, 3-6; CSEL 3, 112-114)

Al mattino del 14 settembre molta folla si era radunata a Sesti secondo quanto aveva ordinato il proconsole Galerio Massimo. E così lo stesso proconsole Galerio Massimo ordinò che gli fosse condotto Cipriano all'udienza che teneva nel medesimo giorno nell'atrio Sauciolo. Quando gli fu davanti, il proconsole Galerio Massimo disse al vescovo Cipriano: «Tu sei Tascio Cipriano?». Il vescovo Cipriano rispose: «Sì, sono io».
Il proconsole Galerio Massimo disse: «Sei tu che ti sei presentato come capo di una setta sacrilega?». Il vescovo Cipriano rispose: «Sono io».
Galerio Massimo disse: «I santissimi imperatori ti ordinano di sacrificare». Il vescovo Cipriano disse: «Non lo faccio».
Il proconsole Galerio Massimo disse: «Rifletti bene». Il vescovo Cipriano disse: «Fa' ciò che ti è stato ordinato. In una cosa così giusta non c'è da riflettere».
Galerio Massimo, dopo aver conferito con il collegio dei magistrati, a stento e a malincuore pronunziò questa sentenza: «Tu sei vissuto a lungo sacrilegamente e ti sei aggregato moltissimi della tua setta criminale, e ti sei costituito nemico degli dèi romani e dei loro sacri riti. I pii e santissimi imperatori Valeriano e Gallieno Augusti e Valeriano nobilissimo Cesare non riuscirono a ricondurti all'osservanza delle loro cerimonie religiose. E perciò, poiché sei risultato autore e istigatore dei peggiori reati, sarai tu stesso di esempio a coloro che hai associato alle tue scellerate azioni. Col tuo sangue sarà sancito il rispetto delle leggi». E dette queste parole, lesse ad alta voce da una tavoletta il decreto: «Ordino che Tascio Cipriano sia punito con la decapitazione». Il vescovo Cipriano disse: «Rendiamo grazie a Dio».
Dopo questa sentenza la folla dei fratelli diceva: «Anche noi vogliamo esser decapitati insieme a lui». Per questo una grande agitazione sorse fra i fratelli e molta folla lo seguì. E così Cipriano fu condotto nella campagna di Sesti e qui si spogliò del mantello e del cappuccio, si inginocchiò a terra e si prostrò in orazione al Signore. Si tolse poi la dalmatica e la consegnò ai diaconi, restando con la sola veste di lino, e così rimase in attesa del carnefice.
Quando poi questo giunse, il vescovo diede ordine ai suoi di dargli venticinque monete d'oro. Frattanto i fratelli stendevano davanti a lui pannolini e fazzoletti. Quindi il grande Cipriano con le sue stesse mani si bendò gli occhi, ma siccome non riusciva a legarsi le cocche del fazzoletto, intervennero ad aiutarlo il presbitero Giuliano e il suddiacono Giuliano.
Così il vescovo Cipriano subì il martirio e il suo corpo, a causa della curiosità dei pagani, fu deposto in un luogo vicino dove potesse essere sottratto allo sguardo indiscreto dei pagani. Di là, poi, durante la notte, fu portato via con fiaccole e torce accese e accompagnato fino al cimitero del procuratore Macrobio Candidiano che è nella via delle Capanne presso le piscine. Dopo pochi giorni il proconsole Galerio Massimo morì.
Il santo vescovo Cipriano subì il martirio il 14 settembre sotto gli imperatori Valeriano e Gallieno, regnando però il nostro Signore Gesù Cristo a cui è onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Fede pronta e incrollabile

Dalle «Lettere» (Lett. 60, 1-2. 5; CSEL, 3, 691-692. 694-695)


Cipriano a Cornelio, fratello nell'episcopato.
Siamo a conoscenza, fratello carissimo, della tua fede, della tua fortezza e della tua aperta testimonianza. Tutto ciò è di grande onore per te e a me arreca tanta gioia da farmi considerare partecipe e socio dei tuoi meriti e delle tue imprese.
Siccome infatti una è la Chiesa, uno e inseparabile l'amore, unica e inscindibile l'armonia dei cuori, quale sacerdote, nel celebrare le lodi di un altro sacerdote, non se ne rallegrerebbe come di sua propria gloria?
E quale fratello non si sentirebbe felice della gioia dei propri fratelli?
Certo non si può immaginare l'esultanza e la grande letizia che vi è stata qui da noi quando abbiamo saputo cose tanto belle e conosciuto le prove di fortezza da voi date. Tu sei stato di guida ai fratelli nella confessione della fede, e la stessa confessione della guida si è fortificata ancora più con la confessione dei fratelli. Così, mentre hai preceduto gli altri nella via della gloria, hai guadagnato molti compagni alla stessa gloria, e mentre ti sei mostrato pronto a confessare per primo e per tutti, hai persuaso tutto il popolo a confessare la stessa fede. In questo modo ci è impossibile stabilire che cosa dobbiamo elogiare di più in voi, se la tua fede pronta e incrollabile, o la inseparabile carità dei fratelli. Si è manifestato in tutto il suo splendore il coraggio del vescovo a guida del suo popolo, ed è apparsa luminosa e grande la fedeltà del popolo in piena solidarietà con il suo vescovo. In voi tutta la chiesa di Roma ha dato la sua magnifica testimonianza, tutta unita in un solo spirito e in una sola voce.
È brillata così, fratello carissimo, la fede che l'Apostolo constatava ed elogiava nella vostra comunità. Già allora egli prevedeva e celebrava quasi profeticamente il vostro coraggio e la vostra indomabile fortezza. Già allora riconosceva i meriti di cui vi sareste resi gloriosi. Esaltava le imprese dei padri, prevedendo quelle dei figli. Con la vostra piena concordia, con la vostra fortezza, avete dato a tutti i cristiani luminoso esempio di unione e di costanza.
Fratello carissimo, il Signore nella sua provvidenza ci preammonisce che è imminente l'ora della prova. Dio nella sua bontà e nella sua premura per la nostra salvezza ci dà i suoi benefici suggerimenti in vista del nostro vicino combattimento. Ebbene in nome di quella carità, che ci lega vicendevolmente, aiutiamoci, perseverando con tutto il popolo nei digiuni, nelle veglie e nella preghiera.
Queste sono per noi quelle armi celesti che ci fanno stare saldi, forti e perseveranti. Queste sono le armi spirituali e gli strali divini che ci proteggono. 
Ricordiamoci scambievolmente in concordia e fraternità spirituale. Preghiamo sempre e in ogni luogo gli uni per gli altri, e cerchiamo di alleviare le nostre sofferenze con la mutua carità.

sabato 2 luglio 2011

Bisogna pregare non soltanto con le parole, ma anche con i fatti.

Dal trattato «Sul Padre nostro» (Nn. 28-30; CSEL 3, 287-289)

Quale meraviglia, fratelli dilettissimi, se il «Padre nostro» è la preghiera che ci ha insegnato Dio? Egli col suo insegnamento ha compendiato ogni nostra preghiera in queste parole di salvezza. Questo era già stato predetto tramite il profeta Isaia, quando pieno di Spirito Santo aveva parlato della maestà e della misericordia di Dio e della parola che tutto contiene e tutto riassume in chiave di salvezza. Il profeta aveva anche affermato che Dio si sarebbe rivolto a tutta la terra con piccole frasi pregnanti. E, in effetti, quando la Parola di Dio, cioè nostro Signore Gesù Cristo, venne a tutti gli uomini, e quando, radunati insieme i dotti e gli ignoranti, ebbe divulgato a ogni sesso e a ogni età i precetti di salvezza, fece un grande compendio dei suoi precetti, perché la memoria dei discepoli non si affaticasse nella dottrina celeste, ma imparasse subito ciò che era necessario alla semplice fede. Così, insegnando che cosa sia la vita eterna, racchiuse con grande e divina brevità il mistero della vita, dicendo: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico e vero Dio, e colui che hai mandato. Gesù Cristo» (Gv 17, 3). Similmente, volendo stralciare dall'insieme della legge e dei profeti i precetti principali e fondamentali, disse: «Ascolta, Israele: il Signore tuo Dio è l'unico Dio»; e ancora: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza. Questo è il primo precetto, e il secondo è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. In questi due precetti è racchiusa tutta la legge e i profeti» (Mc 12, 29-31). E di nuovo: Tutti quei beni che volete che gli uomini facciano a voi, fateli anche voi a loro. Questa è infatti la legge e i profeti (cfr. Mt 7, 12).
Dio ci ha insegnato a pregare non soltanto a parole, ma anche con i fatti, pregando e supplicando egli stesso frequentemente e dimostrando con la testimonianza del suo esempio che cosa dobbiamo fare anche noi, come sta scritto: Egli poi si ritirò in luoghi deserti e pregò (cfr. Lc 5, 16); e ancora: Salì sul monte a pregare, e passò la notte nella preghiera a Dio (cfr. Lc 6, 12).
Certo il Signore pregava e intercedeva non per sé — che cosa infatti deve domandare per sé un innocente? — ma per i nostri peccati. Lo dichiara egli stesso quando dice rivolto a Pietro: «Ecco che Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede» (Lc 22, 31-32). E dopo questo supplica il Padre per tutti dicendo: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola» (Gv 17, 20-21).
Grande fu la bontà di Dio per la nostra salvezza, grande la sua misericordia! Egli non si accontentò di redimerci col suo sangue, ma in più volle ancora pregare per noi. E guardate quale fu il suo desiderio mentre pregava: che come il Padre e il Figlio sono una cosa sola; così anche noi rimaniamo nella stessa unità.

Noi che siamo figli di Dio, rimaniamo nella pace di Dio

Dal trattato «Sul Padre nostro» (Nn. 23-24; CSEL 3, 284-285)


Cristo vuole che noi chiediamo a Dio il perdono dei nostri peccati, ma ha condizionato il perdono divino al condono dei debiti che gli altri hanno con noi. Dobbiamo dunque ricordare che non è possibile ottenere ciò che chiediamo per i nostri peccati, se anche noi non avremo fatto altrettanto verso chi ha peccato contro di noi. Per questo in un passo del vangelo si dice: Con la stessa misura con la quale avrete misurato, sarete misurati anche voi (cfr. Mt 7, 22). Quel servo che, pur avendo avuto il condono di tutto il suo debito dal padrone, non volle usare la medesima bontà con il servo suo compagno, venne chiuso in prigione. Non volle essere indulgente col suo compagno di servitù, e perse ciò che gli era stato regalato dal padrone.Questo dovere viene ribadito fortemente da Cristo e confermato con tutto il peso della sua autorità. Egli dice: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro, che è nei cieli, perdoni a voi i vostri peccati» (Mc 11, 25). Nessuna scusa ti rimarrà nel giorno del giudizio, quando sarai giudicato secondo il criterio che tu stesso hai usato con gli altri e ciò che avrai fatto agli altri lo riceverai a tua volta. Dio infatti ha prescritto che siamo operatori di pace, concordi e unanimi nella sua casa. Quali ci fece con la seconda nascita, tali egli vuole che perseveriamo, cioé nella condizione di rinati. Se siamo figli di Dio, rimaniamo nella pace di Dio, e coloro che hanno un solo spirito, abbiano pure un'unica anima e un unico sentimento. Dio non accoglie il sacrificio di chi è in discordia, anzi comanda di ritornare indietro dall'altare e di riconciliarsi prima col fratello. Solo così le nostre preghiere saranno ispirate alla pace e Dio le gradirà. Il sacrificio più grande da offrire a Dio è la nostra pace e la fraterna concordia, è il popolo radunato dall'unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.Anche nei sacrifici che per primi Abele e Caino offrirono, Dio non guardava ai loro doni, ma ai loro cuori, sicché nell'offerta gli era accetto chi gli era gradito nel cuore. Abele, uomo di pace e di giustizia, offre un sacrificio a Dio nell'innocenza, e così insegna che anche gli altri, quando fanno un'offerta all'altare, devono accostarsi con il timore di Dio, con il cuore semplice, con la legge della giustizia, con la pace e la concordia. Abele è tale nel sacrificio che offre a Dio; in seguito si è fatto egli stesso sacrificio a Dio, In tal modo, divenuto il primo dei martiri, poté iniziare, con la gloria del suo sangue, la passione del Signore, perché aveva posseduto la giustizia e la pace del Signore. Solo coloro che agiranno così saranno coronati dal Signore. Solo costoro nel giorno del giudizio condivideranno la gloria del Signore.Al contrario chi vive in discordia, chi è in disunione e non ha pace con i fratelli, secondo quanto attestano il beato Apostolo e la Sacra Scrittura, non potrà sfuggire alle pene riservate ai fautori della discordia fraterna, neppure se sarà ucciso per il nome di Cristo, poiché sta scritto: «Colui che odia il proprio fratello è omicida» (1 Gv 3, 15), e l'omicida non raggiunge il regno dei cieli e non vive con Dio. Non può essere con Cristo chi ha preferito essere imitatore di Giuda piuttosto che di Cristo.

Dopo il cibo, si chiede il perdono del peccato

dal trattato «Sul Padre nostro» (Nn. 18. 22; CSEL 3, 280-281, 283-284)

Dicendo la preghiera del Signore, noi chiediamo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Ciò può essere inteso sia in senso spirituale che in senso materiale, poiché l'uno e l'altro significato, nell'economia divina, serve per la salvezza. Infatti il pane di vita è Cristo, e questo pane non è di tutti, ma certo nostro lo è . E come diciamo «Padre nostro», perché è Padre di coloro che intendono e credono, così invochiamo anche il «pane nostro», poiché Cristo è pane di coloro che come noi assumono il suo corpo.
Chiediamo quindi che ogni giorno ci sia dato questo pane. Noi viviamo in Cristo e riceviamo ogni giorno la sua Eucaristia come cibo di salvezza. Non accada che, a causa di peccati gravi, ci venga negato il pane celeste, e così privati della comunione, veniamo anche separati dal corpo di Cristo. Egli stesso ha proclamato infatti: Io sono il pane di vita, che sono disceso dal cielo. Se uno mangerà del mio pane, vivrà in eterno. E il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo (cfr. Gv 6, 51).
Dice che se qualcuno mangerà del suo pane vivrà in eterno. E' evidente dunque che vivono coloro che gustano il suo corpo e ricevono l'Eucaristia per diritto di comunione. Da ciò si deduce che se qualcuno si astiene dall'Eucaristia si separa dal corpo di Cristo, e rimane lontano dalla salvezza. E' un fatto di cui preoccuparsi. Preghiamo il Signore che non avvenga. E' lui stesso che pronunzia questa minaccia, dicendo: Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi (cfr. Gv 6, 53). Per questo chiediamo che ci sia dato ogni giorno il nostro pane, cioè Cristo, perché noi che rimaniamo e viviamo in Cristo, non ci allontaniamo dalla sua vita divina.
Dopo queste cose preghiamo anche per i nostri peccati, dicendo: «E rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Dopo aver chiesto il sussidio del cibo, chiediamo pure perdono delle colpe.
Come è davvero necessario, e come è prudente e salutare essere avvertiti che siamo peccatori, ed essere spinti a pregare per i nostri peccati! In tal modo, mentre chiediamo il perdono a Dio, l'animo fa riemergere la consapevolezza di sé. E perché non avvenga che qualcuno si compiaccia come se fosse senza colpe e, salendo in alto, non abbia a cadere più rovinosamente, viene istruito e ammaestrato che egli pecca ogni giorno, e perciò gli si comanda di pregare ogni giorno per i peccati.
Così ammonisce anche Giovanni nella sua lettera, dicendo: Se diremo che non abbiamo alcun peccato, ci inganniamo da noi stessi, e non c'é in noi la verità. Se invece confesseremo i nostri peccati, il Signore è fedele e giusto, e ci rimette i peccati (cfr. 1 Gv 1, 8). Nella sua lettera ha unito assieme l'una e l'altra cosa: che noi dobbiamo pregare per i nostri peccati e che otteniamo indulgenza quando preghiamo. Con questo, ha anche chiamato fedele il Signore perché mantiene fede alla sua promessa di rimetterci i peccati. Colui infatti che ci ha insegnato a pregare per i debiti e le colpe, ha promesso la sua paterna misericordia e il suo perdono.
Dal trattato «Sul Padre nostro» (Nn. 13-15; CSEL 3, 275-278)

Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà«Venga il tuo regno». Domandiamo che venga a noi il regno di Dio, così come chiediamo che sia santificato in noi il suo nome. Ma ci può essere un tempo in cui Dio non regna? O quando presso di lui può cominciare ciò che sempre fu e mai cessò di esistere? Non è questo che noi chiediamo, ma piuttosto che venga il nostro regno, quello che Dio ci ha promesso, e che ci è stato acquistato dal sangue e dalla passione di Cristo, perché noi, che prima siamo stati schiavi del mondo, possiamo in seguito regnare sotto la signoria di Cristo. Così egli stesso promette, dicendo: «Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25, 34).In verità, fratelli carissimi, lo stesso Cristo può essere il regno di Dio di cui ogni giorno chiediamo la venuta, di cui desideriamo vedere, al più presto, l'arrivo per noi. Egli infatti è la risurrezione, poiché in lui risorgiamo. Per questo egli può essere inteso come il regno di Dio, giacché in lui regneremo. Giustamente dunque chiediamo il regno di Dio, cioè il regno celeste, poiché vi è anche un regno terrestre. Ma chi ha ormai rinunziato al mondo del male, è superiore tanto ai suoi onori quanto al suo regno.Proseguendo nella preghiera diciamo: «Sia fatta la tua volontà in cielo e in terra», non tanto perché faccia Dio che vuole, ma perché possiamo fare noi ciò che Dio vuole. Infatti chi è capace di impedire a Dio di fare ciò che vuole? Siamo noi invece che non facciamo ciò che Dio vuole, perché contro di noi si alza il diavolo ad impedirci di orientare il nostro cuore e le nostre azioni secondo il volere divino. Per questo preghiamo e chiediamo che si faccia in noi la volontà di Dio. E perché questa si faccia in noi abbiamo bisogno della volontà di Dio, cioè della sua potenza e protezione, poiché nessuno è forte per le proprie forze, ma lo diviene per la benevolenza e la misericordia di Dio. Infine anche il Signore, mostrando che anche in lui c'era la debolezza propria dell'uomo, disse: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!» (Mt 26, 39). E offrendo l'esempio ai suoi discepoli perché non facessero la volontà loro, ma quella di Dio, aggiunse: «Però non come voglio io, ma come vuoi tu».La volontà di Dio dunque è quella che Cristo ha eseguito e ha insegnato. E' umiltà nella conversazione, fermezza nella fede, discrezione nelle parole, nelle azioni giustizia, nelle opere misericordia, nei costumi severità. Volontà di Dio è non fare dei torti e tollerare il torto subito, mantenere la pace con i fratelli, amare Dio con tutto il cuore, amarlo in quanto è Padre, temerlo in quanto è Dio, nulla assolutamente anteporre a Cristo, poiché neppure lui ha preferito qualcosa a noi. Volontà di Dio è stare inseparabilmente uniti al suo amore, rimanere accanto alla sua croce con coraggio e forza, dargli ferma testimonianza quando è in discussione il suo nome e il suo onore, mostrare sicurezza della buona causa, quando ci battiamo per lui, accettare con lieto animo la morte quando essa verrà per portarci al premio.Questo significa voler essere coeredi di Cristo, questo è fare il comando di Dio, questo è adempiere la volontà del Padre.

Sia santificato il tuo nome

Dal trattato «Sul Padre nostro» (Nn. 11-12; CSEL 3, 274-275)

Quanto è preziosa la grazia del Signore, quanto alta la sua degnazione e magnifica la sua bontà verso di noi! Egli ha voluto che noi celebrassimo la nostra preghiera davanti a lui e lo invocassimo col nome di Padre, e come Cristo è Figlio di Dio, così noi pure ci chiamassimo figli di Dio. Questo nome nessuno di noi oserebbe pronunziarlo nella preghiera, se egli stesso non ci avesse permesso di pregare così. Dobbiamo dunque ricordare e sapere, fratelli carissimi, che, se diciamo Dio nostro Padre, dobbiamo comportarci come figli di Dio perché allo stesso modo con cui noi ci compiacciamo di Dio Padre, così anch'egli si compiaccia di noi.Comportiamoci come tempio di Dio, perché si veda che Dio abita in noi. E il nostro agire non sia in contrasto con lo spirito, perché, dal momento che abbiamo incominciato ad essere creature spirituali e celesti, non abbiamo a pensare e compiere se non cose spirituali e celesti, giacché lo stesso Signore dice: «Chi mi onorerà, anch'io lo onorerò; chi mi disprezzerà sarà oggetto di disprezzo» (1 Sam 2, 30).Anche il beato Apostolo in una sua lettera ha scritto: «Non appartenete a voi stessi; infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (1 Cor 6, 20).Dopo questo diciamo: «Sia santificato il tuo nome», non perché auguriamo a Dio che sia santificato dalle nostre preghiere, ma perché chiediamo al Signore che in noi sia santificato il suo nome. D'altronde da chi può essere santificato Dio, quando è lui stesso che santifica? Egli disse: «Siate santi, perché anch'io sono santo» (Lv 11, 45). Perciò noi chiediamo e imploriamo che, santificati dal battesimo, perseveriamo in ciò che abbiamo incominciato ad essere. E questo lo chiediamo ogni giorno. Infatti abbiamo bisogno di una quotidiana santificazione. Siccome pecchiamo ogni giorno, dobbiamo purificarci dai nostri delitti con una ininterrotta santificazione.Quale sia poi la santificazione che viene operata in noi dalla misericordia di Dio lo annunzia l'Apostolo dicendo: «Né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!» (1 Cor 6, 9-11). Ci dice santificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio. Noi preghiamo perché rimanga in noi questa santificazione. E poiché il Signore e giudice nostro impone a chi è stato da lui guarito o risuscitato di mai più peccare, perché non abbia ad accadergli qualcosa di peggio, chiediamogli giorno e notte di custodire in noi quella santità e quella vita, che viene dalla sua grazia.

Dal trattato sul Padre nostro

Dal trattato «Sul Padre nostro» (Nn. 8-9; CSEL 3, 271-272)


La nostra preghiera deve essere pubblica e universale Innanzitutto il dottore della pace e maestro dell'unità non volle che la preghiera fosse esclusivamente individuale e privata, cioè egoistica, come quando uno prega soltanto per sé. Non diciamo «Padre mio, che sei nei cieli», né: «Dammi oggi il mio pane», né ciascuno chiede che sia rimesso soltanto il suo debito, o implora per sé solo di non essere indotto in tentazione o di essere liberato dal male. Per noi la preghiera è pubblica e universale, «quando preghiamo, non imploriamo per uno solo, ma per tutto il popolo, poiché tutto il popolo forma una cosa sola.Il Dio della pace e maestro della concordia, che ha insegnato l'unità, volle che ciascuno pregasse per tutti, così come egli portò tutti nella persona di uno solo.Osservarono questa legge della preghiera i tre fanciulli rinchiusi nella fornace di fuoco, quando si accordarono all'unisono nella preghiera e furono unanimi nell'accordo dello spirito. Lo afferma la divina Scrittura. Dicendoci che hanno pregato uniti, ci dà un modello da seguire, perché facciamo così anche noi. Allora, dice quei tre a una sola voce cantavano un inno e benedicevano Dio (cfr. Dn 3, 51). Parlavano come a una sola voce, e Cristo non aveva ancora insegnato loro a pregare.Proprio perché pregavano così, le loro parole furono efficaci ed esaudite: la preghiera ispirata alla pace, semplice e interiore si guadagna la benevolenza di Dio. Troviamo scritto che gli apostoli pregavano così assieme ai discepoli dopo l'ascensione del Signore. «Erano», si dice, «tutti assidui e concordi nella preghiera insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui» (At 1, 14). Erano assidui e concordi nella preghiera, manifestando, sia con l'assiduità della loro preghiera sia con la concordia, che Dio, il quale fa abitare unanimi (cfr. Sal 67, 7) nella casa, non ammette nella divina ed eterna dimora se non coloro che pregano in fusione di cuori. Quali e quante poi sono, fratelli carissimi, le rivelazioni della preghiera del Signore! Esse si trovano raccolte in una invocazione brevissima, ma carica di spirituale potenza. Non c'è assolutamente nulla che non si trovi racchiuso in questa nostra preghiera di lode e di domanda. Essa, perciò, forma un vero compendio di dottrina celeste.L'uomo nuovo, rinato e rifatto dal suo Dio per mezzo della sua grazia, in primo luogo dice «al Padre», perché ha già incominciato ad essergli figlio. «Venne tra la sua gente», è scritto, «ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome» (Gv 1, 11-12).Chi, dunque, ha creduto nel suo nome ed è diventato figlio di Dio, deve cominciare di qui, dal rendere grazie e professarsi figlio di Dio allorché indica che Dio gli è Padre nei cieli.

La preghiera prorompa da un cuore umile.

Dal trattato «Sul Padre nostro» (Nn. 4-6; CSEL 3, 268-270) 


Per coloro che pregano, le parole e la preghiera siano fatte in modo da racchiudere in sé silenzio e timore. Pensiamo di trovarci al cospetto di Dio. Occorre essere graditi agli occhi divini sia con la posizione del corpo, sia con il tono della voce. Infatti come è da monelli fare fracasso con schiamazzi, così al contrario è confacente a chi è ben educato pregare con riserbo e raccoglimento. Del resto, il Signore ci ha comandato e insegnato a pregare in segreto, in luoghi appartati e lontani, nelle stesse abitazioni. E` infatti proprio della fede sapere che Dio è presente ovunque, che ascolta e vede tutti, e che con la pienezza della sua maestà penetra anche nei luoghi nascosti e segreti, come sta scritto: Io sono il Dio che sta vicino, e non il Dio che è lontano. Se l'uomo si sarà nascosto in luoghi segreti, forse per questo io non lo vedrò? Forse che io non riempio il cielo e la terra? (cfr. Ger 23, 23-24). E ancora: In ogni luogo gli occhi del Signore osservano attentamente i buoni e i cattivi (cfr. Pro 15, 3). E allorché ci raduniamo con i fratelli e celebriamo con il sacerdote di Dio i divini misteri dobbiamo rammentarci del rispetto e della buona educazione: non sventolare da ogni parte le nostre preghiere con voci disordinate, né pronunziare con rumorosa loquacità una supplica che deve essere affidata a Dio in umile e devoto contegno. Dio non è uno che ascolta la voce, ma il cuore. Non è necessario gridare per richiamare l'attenzione di Dio, perché egli vede i nostri pensieri. Lo dimostra molto bene quando dice: «Perché mai pensate cose malvage nel vostro cuore?» (Mt 9, 4). E un altro luogo dice: «E tutte le chiese sapranno che io sono colui che scruta gli affetti e i pensieri» (Ap 2, 23). Per questo nel primo libro dei Re, Anna, che conteneva in sé la figura della Chiesa, custodiva e conservava quelle cose che chiedeva a Dio, non domandandole a gran voce, ma sommessamente e con discrezione, anzi, nel segreto stesso del cuore. Parlava con preghiera nascosta, ma con fede manifesta. Parlava non con la voce ma con il cuore, poiché sapeva che così Dio ascolta. Ottenne efficacemente ciò che chiese, perché domandò con fiducia. Lo afferma chiaramente la divina Scrittura: Pregava in cuor suo e muoveva soltanto le sue labbra, ma la voce non si udiva, e l'ascolto il Signore (cfr. 1 Sam 1, 13). Allo stesso modo leggiamo nei salmi: Parlate nei vostri cuori, e pentitevi sul vostro giaciglio (cfr. Sal 4, 5). Per mezzo dello stesso Geremia lo Spirito Santo consiglia e insegna dicendo: Tu, o Signore, devi essere adorato nella coscienza (cfr. Bar 6, 5). Pertanto, fratelli dilettissimi, chi prega non ignori in quale modo il pubblicano abbia pregato assieme al fariseo nel tempio. Non teneva gli occhi alzati al cielo con impudenza, non sollevava smodatamente le mani, ma picchiandosi il petto condannando i peccati racchiusi nel suo intimo, implorava l'aiuto della divina misericordia. E mentre il fariseo si compiaceva di se stesso, fu piuttosto il pubblicano che meritò di essere giustificato, perché pregava nel modo giusto, perché non aveva riposto la speranza di salvezza nella fiducia della sua innocenza, dal momento che nessuno è innocente. Pregava dopo aver confessato umilmente i suoi peccati. E così colui che perdona agli umili ascoltò la sua preghiera.

mercoledì 16 marzo 2011

CHI DIEDE LA VITA, INSEGNO' ANCHE A PREGARE

Dal trattato sul "Padre Nostro" di san Cipriano, vescovo e martire
(cap.1 - 3; CSEL 3, 167 - 168)

I precetti del Vangelo, fratelli carissimi, sono certo insegnamenti divini, fondamenti su cui si edifica la speranza, sostegni che rafforzano la fede, alimenti che ristorano il cuore, timoni che dirigono il cammino, aiuti per ottenere la salvezza. Istruiscono le menti docili dei credenti qui in terra e li conducono al regno dei cieli.
Dio volle che molte cose fossero dette e ascoltate per mezzo dei profeti, suoi servi. Ma immensamente più sublimi sono le realtà che comunica attraverso il suo Figlio. Più incomparabili le cose, che la parola di Dio, pur già presente nei profeti, proclama ora con la propria voce, e cioè non più comandando che gli si prepari la via, ma venendo egli stesso, aprendoci e mostrandoci il cammino da seguire. Così mentre prima eravamo erranti, sconsiderati e ciechi nelle tenebre della morte, ora, illuminati dalla luce della grazia, possiamo battere la via della vita con la guida e l`aiuto del Signore.
Egli fra gli altri salutari suoi ammonimenti e divini precetti, con i quali venne in aiuto al suo popolo per la salvezza, diede anche la norma della preghiera, ci suggerì e insegnò quel che dovevamo domandare. Colui che ha dato la vita, ha insegnato anche a pregare, con la stessa benevolenza con la quale sì è degnato di dare e fornire tutto il resto; e ciò perché parlando noi al Padre con la supplica e l'orazione che il Figlio insegnò, fossimo più facilmente ascoltati.
Aveva già predetto che sarebbe venuta l'ora in cui i veri adoratori avrebbero adorato il Padre in spirito e verità, ed egli adempì la promessa perché noi, ricevendo dalla sua santificazione lo spirito e la verità, adorassimo veramente e spiritualmente in grazia del suo dono.
Quale orazione infatti può essere più spirituale di quella che ci è stata data da Cristo, dal quale ci è stato mandato anche lo Spirito Santo? Quale preghiera al Padre può essere più vera di quella che è stata proferita dalla bocca del Figlio, che è verità? Pregare diversamente da quello che egli ci ha insegnato non sarebbe soltanto ignoranza ma anche colpa, avendo egli stesso affermato: Respingete il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione! (cfr. Mc 7, 9).
Preghiamo, dunque, fratelli, come Dio, nostro Maestro, ci ha insegnato. E` preghiera amica e familiare pregare Dio con le sue parole, far salire ai suoi orecchi la preghiera di Cristo. 
Riconosca il Padre le parole del Figlio suo quando preghiamo; egli che abita dentro il nostro cuore, sia anche nella nostra voce. E poiché è nostro avvocato presso il Padre, usiamo le parole del nostro avvocato, quando, come peccatori, supplichiamo per i nostri peccati. Se egli ha detto che qualunque cosa chiederemo al Padre nel suo nome ci sarà data, impetreremo più efficacemente quel che domandiamo in nome di Cristo, se lo domanderemo con la sua preghiera.