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lunedì 10 novembre 2014

Il pastore


Non è in fondo senza un significato più profondo che il “pastore” va in abiti da donna. 
Perché la colpa caratteristica del “pastore” è in generale quella della donna: astuzia, scaltrezza, bugia. 
Si; come si deve dire che l’essenza di una donna è un po’ (detto della donna ha però un senso più innocuo) la bugia è dappertutto dove c’entra la donna, c’è sempre un po’ di bugia: così anche con i pastori ufficiali. Inoltre è caratteristico per il pastore lo svenire, lo sdilinquirsi, il civettare, il dire che non vuole e tuttavia vorrebbe tanto… Questo vale specialmente per l’alto clero. 
Non molto tempo fa lessi di uno ch'era stato creato arcivescovo in qualche parte della Germania. Nel discorso della presa di possesso diceva naturalmente ch'egli aveva pregato Dio che gli fosse levato questo calice (la nomina alla dignità di arcivescovo!) : ahimè ma invano…! 
Ecco, proprio come una donna chè può essere assai vogliosa del letto matrimoniale e tuttavia sviene e fa finta di non volere: ciò che sarebbe un fraintendimento se il marito la prendesse sul serio. 
Si deve soltanto ricordare, riguardo alla donna, ch’essa è innocente; ciò appartiene alla determinazione naturale del suo essere, e per questo sarebbe una mascalzonata usare con lei l’ironia. 
Col prelato le cose vanno diversamente. 
Ma la ragione per cui l’analogia della donna calza al prelato è che abbiamo qi un’analogia a quella sintesi in cui consiste il rapporto sessuale: peccato- e tuttavia insieme desiderio. Infatti il prelato sente molto bene che da una parte l’affare dell’alto clero mondano è dal punto di vista cristiano un peccato, tuttavia ne ha il desiderio. 
Questo si esprime allora con lo svenimento ufficiale: svenendo, egli in un certo modo dà soddisfazione all'indignazione cristiana di fronte a quell'alta mondanità; come il senso morale della donna, il pudore, è soddisfatto per via della sua resistenza. Ma, come ho detto, con la donna è però tutt’altra cosa che con questa civetteria dei prelati. 






















Il cristianesimo senza i cristiani


Il “pastore” (una lezione) predica il Cristianesimo in quanto di funzionario e prebendato, quindi “oggettivamente”; naturalmente non gli passa per la testa di vivere in conformità della sua predica (certo, in realtà questo è anche naturale:  fare il contrario sarebbe proprio l’esigenza cristiana!).
 Egli dice: il mio compito è di predicare il Cristianesimo! Come quel bidello di Holberg che tracciava sulla carta alcuni scarabocchi che nessuno, (neppure lui!) riusciva a leggere e a chi ne lo rimproverava rispondeva che il suo compito era soltanto di scrivere non di leggere, perché il leggere spettava ai professori!...
Così quindi non era giusto dire: Nessuno, neppure lui stesso, poteva leggere quel che aveva scritto perché egli pensava che il suo dovere finiva nel tracciare quegli scarabocchi. Parimenti il pastore, agisce in conformità della predica- dicendo ch’egli è stato assunto soltanto per predicare e che da lui non si può esigere di più.
Questo per la predica del pastore. I Cristiani invece si sbarazzano dell’agire  in conformità della predica col pretesto che hanno già troppe cose a cui badare, e che un Cristianesimo così austero non si può esigere che dal pastore, dall’uomo di Dio!

Ed eccoci, quindi al risultato: “un Cristianesimo senza cristiani”..

Soren kierkegaard, diario