Dalle «Omelie sui vangeli»
di san Gregorio Magno, papa
(Om. 17, 3. 14; PL 76,
1139-1140. 1146)
Sentiamo cosa dice il
Signore nell'inviare i predicatori: «La messe è molta, ma gli operai sono
pochi! Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai per la sua
messe!» (Mt 9, 37-38).Per una grande messe gli operai sono pochi; non possiamo
parlare di questa scarsità senza profonda tristezza, poiché vi sono persone che
ascolterebbero la buona parola, ma mancano i predicatori. Ecco, il mondo è
pieno di sacerdoti, e tuttavia si trova di rado chi lavora nella messe del
Signore; ci siamo assunti l'ufficio sacerdotale, ma non compiamo le opere che
l'ufficio comporta.Riflettete attentamente, fratelli carissimi, su quello che è
scritto: «Pregate il padrone della messe, perché mandi operai per la sua
messe». Pregate voi per noi, affinché siamo in grado di operare per voi come si
conviene, perché la lingua non resti inceppata nell'esortare, e il nostro
silenzio non condanni presso il giusto giudice noi, che abbiamo assunto
l'ufficio di predicatori. Spesso infatti la lingua dei predicatori perde la sua
scioltezza a causa delle loro colpe; spesso invece viene tolta la possibilità
della predicazione a coloro che sono a capo per colpa dei fedeli.La lingua dei
predicatori viene impedita dalla loro nequizia, secondo quanto dice il
salmista: «All'empio Dio dice: Perché vai ripetendo i miei decreti?» (Sal 49,
16).Altre volte la voce dei predicatori è ostacolata colpevolmente dai fedeli,
come il Signore dice a Ezechiele: «Ti farò aderire la lingua al palato e
resterai muto. Così non sarai più per loro uno che li rimprovera, perché sono
una genìa di ribelli» (Ez 3, 26). Come a dire: Ti viene tolta la parola della
predicazione, perché il popolo non è degno di ascoltare l'esortazione della
verità, quel popolo che nel suo agire mi è ribelle. Non è sempre facile però
sapere per colpa di chi al predicatore venga tolta la parola. Ma si sa con
tutta certezza che il silenzio del pastore nuoce talvolta a lui stesso, e
sempre ai fedeli a lui soggetti.Vi sono altre cose, fratelli carissimi, che mi
rattristano profondamente sul modo di vivere dei pastori. E perché non sembri
offensivo per qualcuno quello che sto per dire, accuso nel medesimo tempo anche
me, quantunque mi trovi a questo posto non certo per mia libera scelta, ma
piuttosto costretto dai tempi calamitosi in cui viviamo. Ci siamo ingolfati in
affari terreni, e altro è ciò che abbiamo assunto con l'ufficio sacerdotale,
altro ciò che mostriamo con i fatti. Noi abbandoniamo il ministero della
predicazione e siamo chiamati vescovi, ma forse piuttosto a nostra condanna,
dato che possediamo il titolo onorifico e non le qualità. Coloro che ci sono
stati affidati abbandonano Dio e noi stiamo zitti. Giacciono nei loro peccati e
noi non tendiamo loro la mano per correggerli. Ma come sarà possibile che noi
emendiamo la vita degli altri, se trascuriamo la nostra? Tutti rivolti alle
faccende terrene, diventiamo tanto più insensibili interiormente, quanto più
sembriamo attenti agli affari esteriori. Ben per questo la santa Chiesa dice
delle sue membra malate: «Mi hanno messo a guardiana delle vigne; la mia vigna,
la mia, non l'ho custodita» (Ct 1, 6). Posti a custodi delle vigne, non
custodiamo affatto la vigna, perché, implicati in azioni estranee, trascuriamo il ministero che dovremmo compiere.
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