Dalle «Lettere» a sant'Ignazio di san Francesco Saverio,
sacerdote
(Lett. 20 ott. 1542, 15 gennaio 1544;
Epist. S. Francisci
Xaverii aliaque eius scripta, ed. G. Schurhammer I Wicki, t. I,
Mon. Hist.
Soc. Iesu, vol. 67, Romae, 1944, pp. 147-148; 166-167)
Abbiamo percorso i villaggi dei neofiti, che pochi anni fa
avevano ricevuto i sacramenti cristiani. Questa zona non è abitata dai
Portoghesi, perché estremamente sterile e povera, e i cristiani indigeni, privi
di sacerdoti, non sanno nient'altro se non che sono cristiani. Non c'è nessuno
che celebri le sacre funzioni, nessuno che insegni loro il Credo, il Padre
nostro, l'Ave ed i Comandamenti della legge divina.
Da quando dunque arrivai qui non mi sono fermato un istante;
percorro con assiduità i villaggi, amministro il battesimo ai bambini che non
l'hanno ancora ricevuto. Così ho salvato un numero grandissimo di bambini, i
quali, come si dice, non sapevano distinguere la destra dalla sinistra. I
fanciulli poi non mi lasciano né dire l'Ufficio divino, né prendere cibo, né
riposare fino a che non ho loro insegnato qualche preghiera; allora ho
cominciato a capire che a loro appartiene il regno dei cieli.
Perciò, non potendo senza empietà respingere una domanda
così giusta, a cominciare dalla confessione del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo, insegnavo loro il Simbolo apostolico, il Padre nostro e l'Ave
Maria. Mi sono accorto che sono molto intelligenti e, se ci fosse qualcuno a
istruirli nella legge cristiana, non dubito che diventerebbero ottimi
cristiani.
Moltissimi, in questi luoghi, non si fanno ora cristiani
solamente perché manca chi li faccia cristiani. Molto spesso mi viene in mente
di percorrere le Università d'Europa, specialmente quella di Parigi, e di
mettermi a gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più
scienza che carità con queste parole: Ahimè, quale gran numero di anime, per
colpa vostra, viene escluso dal cielo e cacciato all'inferno!
Oh! se costoro, come si occupano di lettere, così si dessero
pensiero anche di questo, onde poter rendere conto a Dio della scienza e dei
talenti ricevuti!
In verità moltissimi di costoro, turbati a questo pensiero,
dandosi alla meditazione delle cose divine, si disporrebbero ad ascoltare
quanto il Signore dice al loro cuore, e, messe da parte le loro brame e gli
affari umani, si metterebbero totalmente a disposizione della volontà di Dio.
Griderebbero certo dal profondo del loro cuore: «Signore, eccomi; che cosa vuoi
che io faccia?» (At 9, 6 volg.). Mandami dove vuoi, magari anche in India.
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