
Per questo, animato dal suo zelo dì apostolo, gradiva di più
l’altrui freddezza e le ingiurie che l’onore, di cui invece noi siamo cosi
avidi. Preferiva la morte alla vita, la povertà alla ricchezza e desiderava
assai di più la fatica che non il riposo. Una cosa detestava e rigettava:
l’offesa a Dio, al quale per parte sua voleva piacere in ogni cosa.
Godere dell’amore di Cristo era il culmine delle sue
aspirazioni e, godendo di questo suo tesoro, si sentiva più felice di tutti.
Senza di esso al contrario nulla per lui significava l’amicizia dei potenti e
dei principi. Preferiva essere l’ultimo di tutti, anzi un condannato, però con
l’amore di Cristo, piuttosto che trovarsi fra i più grandi e i più potenti del
mondo, ma privo di quel tesoro.
II più grande ed unico tormento per lui sarebbe stato
perdere questo amore. Ciò sarebbe stato per lui la geenna, l’unica sola pena;
il più grande e il più insopportabile dei supplizi.
II godere dell’amore di Cristo era per lui tutto: vita,
mondo, condizione angelica, presente, futuro e ogni altro bene. All’ infuori di
questo, niente reputava bello, niente gioioso. Ecco perché guardava alle cose
sensibili come ad erba avvizzita. Gli stessi tiranni e le rivoluzioni di popoli
perdevano ogni mordente. Pensava infine che la morte, la sofferenza e mille
supplizi diventassero come giochi da bambini, quando si trattava di sopportarli
per Cristo.
dalle Omelia di s. Giovanni Crisostomo, Panegirico di s. Paolo (PG 50, 477-480)
Nessun commento:
Posta un commento