venerdì 7 novembre 2014

Liturgia del nudo



L’Eden della nostra innocenza è anche l’Eden della nostra nudità; e tra i due fatti c’è una stretta connessione. Quando la fiducia è totale – pari a quella che abbiamo con noi stessi – cade il bisogno di difesa e l’unità interiore trova riscontro anche in un più diretto contatto fisico: l’adesione è piena e immediata, senza più zone precluse, senza più riservati possessi ; ma tutto è offerto in uno svelamento totale, in un pienissimo abbandono. E ciò che accade nei rapporti più intimi e profondi, tra l’uomo e l’uomo, tra l’uomo e la natura, forse, anche talvolta tra l’uomo e Dio. E’ appena necessario ricordare la densità del nudo amoroso, quando i due sono pagine perfettamente combacianti e il calore, l’odore, il tremore sono altrettanti messaggi fisici di un’interiorità così profonda da coinvolgere ogni superficie; e d’altra parte la superficie è così intensa da smuovere ogni profondità. C’è chi auspica una certa fruizione del nudo anche a livello amicale o familiare. Il problema non ha rilevanza etica ma solamente psicologica: se convenga, cioè, ampliare l’uso di un segno così esclusivo degli amanti (con la necessità di trovane altri che restino propri della coppia o di limitarne l’espansione tipica al solo amplesso) oppure se sia più utile, proprio alla vivacità amorosa, serbare ai due questa più ampia zona inviolata. E’ l’interrogativo che si pone per il nudismo, che sembra scavalcare il problema antropologico per puntare a un più diretto contatto cosmico. Scavalcandolo, per il momento, anche noi, non possiamo non rilevare come in effetti, il porre il corpo a nudo contatto con la terra, con l’aria, con la sabbia, con l’erba, stabilisce adesioni più profonde di quanto non possano aversi col diaframma isolante della veste. E in questa ricerca di un’immersione cosmica più piena sta il valore del naturalismo, anche se prevalentemente a livello laico, fisico, psicologico, culturale: un livello che resta al di sotto dell’esperienza religiosa ma non la contraddice, anzi la può utilmente preparare. E infine non è forse superfluo rilevare come il nudo, reso tramite di valori positivi possa salire , ad alti livelli contemplativi e che qualche mistico, talvolta, senta il bisogno di presentarsi spoglio innanzi a Dio. Questo gesto di denudamento, oltre a implicanze di sponsalità, esprime bene un cadere totale di barriere, una riduzione all’essenza, una più scarnita e profonda verità! Non si tratta di atteggiamenti frequenti e- ove non se ne avverta l’istanza – il forzarli sarebbe inutile, artificiale (un sorta di altra e più spessa veste di inautenticità ) e forse inopportuno, specie da parte di chi sia già abbastanza invischiato nell’ambigua retorica del “Gesù sposo”. Tuttavia uno studio sulla preghiera deve dar conto anche di tali espressioni che testimoniano una pienezza di armonia e rappresentano un capitolo del linguaggio fisico di particolare intensità.

Adriana Zarri
Tratto da
Teologia e antropologia della preghiera

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