Un tempo Signore, la
quaresima era un tempo di digiuno, dovrebbe esserlo anche oggi,
sebbene la disciplina si sia molto attenuata.
Ma
il digiuno non è soltanto quello della mensa: è il distacco dal
piacere, dal potere, dalla ricchezza, dall’ambizione dall’
ambizione, è il digiuno di tutto; e direi anzi che il digiuno dai
cibi è il più superficiale e il più banale; così come la golosità
è un peccato da bambini che rubano la marmellata.
Ben altri sono i
furti del potere!
Prendiamo
perciò il digiuno a simbolo di tutte le astinenze, di tutti i
distacchi e le rinunce; e non solo dal male ma anche dai beni.
Ma
perché Signore, tu ci domandi di prendere le distanze da quei beni
che pure sono stati creati da te?
Non
certo soltanto per farci esercitare un ascetismo fine a se stesso.
Il
digiuno per sé, non è un valore. Se quindi ci esorti a praticarlo
dev’essere in vista di qualche cosa d’altro.
E
questo “altro” non potrebb’essere proprio il lieto godimento
della mensa?
La
fruizione libera e serena dei beni della terra e della vita?
Perché
al contrario del digiuno, la mensa sembra sì un valore, tanto da
poter essere scelta come l’umana ambientazione della tua venuta
eucaristica e assunta a metafora del Regno.
La
convivialità: il cordiale sedersi degli amici a un rito di
partecipazione, dove il cibo è di tutti e per tutti: e ciascuno ne
accinge secondo il bisogno e il desiderio. Ecco, Signore, dei valori
che abbiamo dimenticati.
Tu,
no, Signore; tu li coltivasti: e ti sedevi volentieri a tavola; al
punto che i maligni ironizzavano su quella tua lieta convivialità,
paragonandola al severo digiuno del Battista.
Ed
ecco qua il digiuno che torna ad intrigarci.
Se
la mensa è un valore, perché contraddirla con questa pratica
inopportuna?
Eppure
non soltanto il Battista – un profeta che tu stimavi ed elogiavi-
ma tu stesso ci hai dato degli esempi di questa severa astinenza.
Non
sarà forse che essa non contraddice ma salvaguardia la convivialità
?
Se
infatti il commensale è goloso, tenta di appropriarsi di quanto più
cibo può, a scapito degli altri; perde la libertà e la cordialità
dell’amicizia: diventa un capitalista della mensa, asservito alla
propria cupudigia.
E
se, dilatando il concetto del digiuno, dilatiamo anche l’ambito di
questa cupida avarizia, ben presto comprendiamo quanto sia devastante
la mancanza di un’autodisciplina.
Questa
autodisciplina è appunto il digiuno.
Digiuniamo
per imparare a mangiare, e ci esercitiamo nel distacco per poter
essere capaci di fruire liberamente di tutti i beni della terra.
E
adesso cominciamo a comprendere perché il digiuno sia importante;
perché è importante la mensa; perché il distacco è necessario:
perché è necessario saper gioire delle cose, liberamente
possedendole, senza venirne posseduti.
Oggi
si guarda con preoccupazione a quelli che chiamiamo
tossicodipendenti, la cui dipendenza dalla droga li asservisce a tal
punto da togliere loro la libertà di scegliere.
Ma
le droghe sono tante, le dipendenze sono tante e gli asservimenti
sono tanti.
Magari meno vistosi, ma non meno perniciosi. Spesso di
più.
E
certo fa meno danni un ragazzo asservito alla droga che un capo
d’industria asservito dal denaro o un politico asservito al potere,
che a quel denaro e a quel potere sacrificano la vita di milioni di
uomini.
Ecco
allora il digiuno ricordato dalla quaresima: questo periodo di
severità che prepara alla gioia della Pasqua.
Dacci
Signore, di comprendere quanto siano buoni e godibili i beni creati
da te; e quanto perciò sia necessaria quella interiore disciplina
che ci consente di servircene, senza venirne asserviti, di goderne
liberamente e lietamente, senza sottrarli agli altri. Facci capire
cosa significa “perdere la propria vita” .
Significa
trovarla e allora la disciplina a si chiama questo periodo dell’anno
non sarà masochista, ma sarà una pedagogia della letizia; un
libero e volenteroso esercizio di libertà, in vista del banchetto
della vita, del banchetto eucaristico, del banchetto pasquale, del
banchetto celeste.
capitolo tratto da "Quasi una preghiera" :
"La vista del banchetto della vita"
di Adriana
Zarri
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