venerdì 25 aprile 2014

Poltrone, poltrone, poltrone



Se la poltrona è simbolo di imborghesimento io sono un' inguaribile borghese, e vorrei tessere l'elogio di questo disprezzato oggetto che ha ambiguità di senso, come tutte le cose.
L'ascetismo non lo ama e certi spiritualisti rigorosi ne avrebbero vergogna.
Ma il rigore non è il passaggio necessario per accedere a climi più distesi?
Accanto al mio alloggio c'è una casa di preghiera che gestisco con criteri che non vorrei che fossero borghesi: eppure essa è piena di poltrone.
Ne ho voluta una per ogni camera, e altre disseminate qua e là, in ogni angolo in cui uno possa fermarsi a meditare.
Teresa d'Avila, che borghese non era e aveva grande esperienza di preghiera, soleva dire che, per pregare, occore essere comodi.
Perchè, aggiungo io, la preghiera è al di là dell'ascetismo, non è tensione: è rilassamento e abbandono.
Teniamo ben distinte penitenza e preghiera.
In certi conventi forse usano ancora recitare rosari a braccia alzate.
Un tempo l'ho provato anch'io e credo proprio di non aver pregato ma solamente faticato.
Con la schiena tesa e muscoli tirati come corde, tutte le energie erano concentrate nello sforzo; per la preghiera non restava anima né possibilità.
Pregare è sopratutto lasciarsi pregare da Dio; richiede atteggiamento e disteso: non è uno sforzo, è un ricevere doni.
E quale atteggiamento più adatto di una posizione comoda e rilassata?
Perciò poltrone, poltrone, polrone.
Se poi uno vuole solo poltrire, nel senso pantofolaio e pigro, responsabilità sua; non scaricate su di me la colpa di aver costellato le camere e la casa di poltrone.
La poltrona è ambigua, come tutte le cose: serve alla nostra pigrizia e alla nostra contemplazione la sua forma cava e avvolgente è come un nido in cui possiamo rifugiarci per dormire o pregare.
Ma lo stesso sonno non ha la stessa ambiguidità?
Bruto torpore o sospensione vigile?
La Bibbia parla del sonno di Adamo e del sonno della sposa del Cantico che non deve essere destata.
E di sonno parla anche il linguaggio dei mistici.
La poltrona probabilmente non è fatta per gli eroi.
Ma chi sono gli eroi?
Oggi par quasi che ce ne vergogniamo e, delle persone che hanno operato con coscienza fino spesso a morirne, ci affanniamo a dichiarare che non erano eroi.
Ma non è forse che fossero al di là dell'eroismo con pennacchi e lustrini, dal quale giusttamente prendiamo le distanze?
Il nostro sospetto per la retorica ci rende vigili, di fronte a questo eroismo da parata, ma questa tensione rigorista che è tipica di un ascetismo ancora acerbo; ci fa comprendere che, al di là, sulla poltrona di una vita non gridata, c'è un eroismo più profondo che si distende praticamente sull'ovvietà del quotidiano, scoprendone l'inesauribile ricchezza.
E allora ecco le nostre case – che non sono più le grotte degli asceti – arredate coi mobili che ci aiutano a vivere: i mobili dell'esistenza quotidiana che non ha più paura delle sedie (i padri del deserto, sembra, stavano quasi sempre in piedi), non ha più paura delle tavole (tanti consumavano i pasti sulle ginocchia), che non ha più paura dei letti (tanti altri dormivano per terra), e nemmeno ha paura delle poltrone: questi simboli di comoda mollezza che possono anche divenire i simboli del nostro abbandonato contemplare: dolce e accogliente nido del nostro accogliere la visita di Dio.
Anche dopo la comunione è la posizione più corretta,è il comodo sedersi.
È il momento del rilassato incontro: simbolicamente della poltrona, anche se quest'oggetto non è presente nelle nostre chiese.
Ma il sedersi, dopo l'incontro eucaristico, è sinonimo gestuale dell'abbandonarsi su di essa, in un dolce avvolgente abbraccio che ci si dispone all'abbraccio di Dio.

Tratto da “Un eremo non è un guscio di lumaca”... capitolo: case e comode poltrone

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