Se
la poltrona è simbolo di imborghesimento io sono un' inguaribile
borghese, e vorrei tessere l'elogio di questo disprezzato oggetto che
ha ambiguità di senso, come tutte le cose.
L'ascetismo
non lo ama e certi spiritualisti rigorosi ne avrebbero vergogna.
Ma
il rigore non è il passaggio necessario per accedere a climi più
distesi?
Accanto
al mio alloggio c'è una casa di preghiera che gestisco con criteri
che non vorrei che fossero borghesi: eppure essa è piena di
poltrone.
Ne
ho voluta una per ogni camera, e altre disseminate qua e là, in ogni
angolo in cui uno possa fermarsi a meditare.
Teresa
d'Avila, che borghese non era e aveva grande esperienza di preghiera,
soleva dire che, per pregare, occore essere comodi.
Perchè,
aggiungo io, la preghiera è al di là dell'ascetismo, non è
tensione: è rilassamento e abbandono.
Teniamo
ben distinte penitenza e preghiera.
In
certi conventi forse usano ancora recitare rosari a braccia alzate.
Un
tempo l'ho provato anch'io e credo proprio di non aver pregato ma
solamente faticato.
Con
la schiena tesa e muscoli tirati come corde, tutte le energie erano
concentrate nello sforzo; per la preghiera non restava anima né
possibilità.
Pregare
è sopratutto lasciarsi pregare da Dio; richiede atteggiamento e
disteso: non è uno sforzo, è un ricevere doni.
E
quale atteggiamento più adatto di una posizione comoda e rilassata?
Perciò
poltrone, poltrone, polrone.
Se
poi uno vuole solo poltrire, nel senso pantofolaio e pigro,
responsabilità sua; non scaricate su di me la colpa di aver
costellato le camere e la casa di poltrone.
La
poltrona è ambigua, come tutte le cose: serve alla nostra pigrizia e
alla nostra contemplazione la sua forma cava e avvolgente è come un
nido in cui possiamo rifugiarci per dormire o pregare.
Ma
lo stesso sonno non ha la stessa ambiguidità?
Bruto
torpore o sospensione vigile?
La
Bibbia parla del sonno di Adamo e del sonno della sposa del Cantico
che non deve essere destata.
E
di sonno parla anche il linguaggio dei mistici.
La
poltrona probabilmente non è fatta per gli eroi.
Ma
chi sono gli eroi?
Oggi
par quasi che ce ne vergogniamo e, delle persone che hanno operato
con coscienza fino spesso a morirne, ci affanniamo a dichiarare che
non erano eroi.
Ma
non è forse che fossero al di là dell'eroismo con pennacchi e
lustrini, dal quale giusttamente prendiamo le distanze?
Il
nostro sospetto per la retorica ci rende vigili, di fronte a questo
eroismo da parata, ma questa tensione rigorista che è tipica di un
ascetismo ancora acerbo; ci fa comprendere che, al di là, sulla
poltrona di una vita non gridata, c'è un eroismo più profondo che
si distende praticamente sull'ovvietà del quotidiano, scoprendone
l'inesauribile ricchezza.
E
allora ecco le nostre case – che non sono più le grotte degli
asceti – arredate coi mobili che ci aiutano a vivere: i mobili
dell'esistenza quotidiana che non ha più paura delle sedie (i padri
del deserto, sembra, stavano quasi sempre in piedi), non ha più
paura delle tavole (tanti consumavano i pasti sulle ginocchia), che
non ha più paura dei letti (tanti altri dormivano per terra), e
nemmeno ha paura delle poltrone: questi simboli di comoda mollezza
che possono anche divenire i simboli del nostro abbandonato
contemplare: dolce e accogliente nido del nostro accogliere la visita
di Dio.
Anche
dopo la comunione è la posizione più corretta,è il comodo sedersi.
È
il momento del rilassato incontro: simbolicamente della poltrona,
anche se quest'oggetto non è presente nelle nostre chiese.
Ma
il sedersi, dopo l'incontro eucaristico, è sinonimo gestuale
dell'abbandonarsi su di essa, in un dolce avvolgente abbraccio che ci
si dispone all'abbraccio di Dio.
Tratto
da “Un eremo non è un guscio di lumaca”... capitolo: case e
comode poltrone
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