domenica 21 settembre 2014

stai alla porta e bussi


Signore, non ho voglia di pregare, e non ho niente da dirti.
Possibile che non abbia niente da dirti?
Eppure è proprio così.
Succede anche questo, nella vita di fede.
Succede anche nei rapporti tra uomini,  succede anche per gli amori della  terra; e specialmente a quell’amore, tra uomo e donna, che la Bibbia avvicina, come la metafora più pertinente, all’amore che tu hai per noi e che noi dovremo avere per te.
Anche quest’amore terreno ha le sue notti e tanto più il rapporto nostro con te che non sei visibile, ai nostri occhi di carne, non sei percepibile ai nostri sensi grossolani e sembri, talora, non esistere.
E allora cosa preghiamo?
Il  vuoto?
Un abisso d’aria che non risponde?
Una formula che è scritta là, nel catechismo (quello vecchio, quello nuovo, che importa? Che differenza fa?) e  che non abbiamo mai verificata?
Esiste, però, una differenza tra gli inceppi della vita di coppia e i problemi del nostro rapporto con te.
Perché, in questo caso, è solo l’amore nostro che viene meno o che, pur sussistendo, non trova canali di espressione. Tu, invece, sei sempre là che accetti e ci rincorri e non ti stanchi mai di amarci.
Tu, Signore, ti sei invaghito di noi; e ci persegui col tuo amore.
Stai alla porta e bussi, aspettando che noi ti apriamo.
E non sempre ti apriamo.  Talvolta ti lasciamo la porta chiusa in faccia.
E talaltra facciamo i pigri, accampando pretesti, come la donna del Cantico.
Diceva di essersi tolta la veste, di essersi già lavata i piedi e di non volerseli nuovamente sporcare.
Ormai s’era disposta al riposo: cosa venivi a fare a quell’ora di notte?
Come, l’innamorato bussa alla tua porta e tu fai la ritrosa?  Ma forse i pretesti della donna eran solo una finta, forse erano una tenera commedia per accendere il desiderio di lui; ma lui la prende male e , senza dir nulla, se ne va. E lei corre a cercarlo, nella notte, e le guardie la maltrattano, forse scambiandola per una prostituta.
Ma a lei non importa la sua reputazione, casa pensa la gente: le importa solo l’innamorato che non trova più.
Ecco, l’amore  umano ha questi malintesi.
E’ diverso dal tuo; eppure, qualche volta gli somiglia.
Perché anche tu fingi di allontanarti nella notte; o almeno a noi sembra così.
Non ti troviamo più.
Chiamiamo e tu non rispondi, o almeno non sentiamo la tua voce.
Ma qualche volta nemmeno ti chiamiamo.
Non abbiamo voglia di pregare.
Perché la difficoltà di quest’amore è proprio la tua invisibilità: mente noi siamo fatti di carne, di occhi che vogliono guardare, di orecchie che aspettano di udire una voce che chiama, di mani che vogliono toccare una forma, una tangibilità.
Ci hai fatti tu così, Signore,  e non puoi lamentarti .
E infatti  non ti lamenti: aspetti.
Perché, oltre agli occhi e alle mani, ci hai dato altri sensi più sottili che possono percepire l’invisibile.
Ma spesso dormono questi sensi raffinati perché sopraffatti da quelli più invadenti .
Come lo stelo di buon grano soffocato dai rovi.
È la parabola del seminatore.
I rovi sono invadenti e prepotenti, il frastuono del mondo, l’urgere degli istinti più immediati può coprire l’istinto sottile della fede. E noi svolazziamo qua e là, dietro alle voci più chiassose, dietro alla verità.
Allora bisogna mettere a tacere il chiasso, fare silenzio, fare spazio a te: a te che non sei invadente, non sei chiassoso ma, anzi, chiedi concentrazione.
 E non è facile, Signore, quando, attorno a noi, tutto risuona di clamore. Non siamo solo noi, Signore, a non prestarti orecchio: è tutto il nostro mondo, è la nostra cultura che rincorre lo spettacolo, l’esteriorità. E non tanto l’amore gratuito cerca ma l’interesse, il successo. 
C’è poco spazio per  te, Signore.
Così come c’è poco spazio per quei sensi sottili, più in grado di percepire l’invisibile.
C’è poco spazio per la fantasia, la poesia, per quelle cose che non servono e pur non servono e pur son tanto necessarie.
Non servono a rincorrere il successo, per imporsi e “contare”, non servono per avere denaro e potere, ma son necessarie a esser uomini, con quanto c’è di più profondamente umano.
Il nostro mondo è quanto di meno contemplativo si possa immaginare; e tu, Signore, lo sai bene; e certo non ti stupisci se noi, immersi in questa cultura efficientista, spesso non siamo capaci di pregarti e non ne abbiamo neanche voglia.
Ci sembra di non aver niente da dire, forse perché diciamo troppe cose e sprechiamo discorsi e non ci resta spazio per ascoltare il tuo Verbo silenzioso e pur detto, nella Scrittura che ha assunto linguaggio d’uomo.
E allora, in questo deserto dello spirito, non c’è che chiederti di darci voce e occhi per vederti, oltre la visibilità della materia: di quella materia che tu pure hai creato ma che può diventare opaca e sorda come un muro.
Eppure non come muro l’hai creata ma come strada per arrivare a te.
Ecco, facci capire che tutte le realtà del mondo sono strade, e insegnaci a percorrerle perché, alla fine, ci sei tu; ma prima bisogna molto camminare, e sporcarci i piedi, come l’amante del Cantico, e inseguirti nella notte….

Adriana Zarri
Capitolo tratto da
“Quasi una preghiera”




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